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Questo articolo è stato pubblicato il 17 dicembre 2014 alle ore 10:45.
L'ultima modifica è del 17 dicembre 2014 alle ore 13:51.

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C’è una data limite che per ora incombe sull’Ilva mentre il Governo è alla ricerca di una soluzione per l’azienda siderurgica attraverso un nuovo decreto legge. La data è il 29 dicembre. Per quel giorno, a partire dalle 9.30, l’Eni, con una lettera inviata all’Ilva nelle settimane scorse, ha paventato il taglio della fornitura di gas sia allo stabilimento che a Taranto Energia, la società dell’Ilva che gestisce la centrale elettrica. Motivo: i mancati pagamenti.

Da fonti sindacali però si apprende che il contenzioso non è sulla fornitura pregressa ma su quella futura. L’Ilva, anche se in ritardo, avrebbe saldato l’Eni per il 2014, ma per il 2015 l’ente avrebbe chiesto un aumento del 30% e una fideiussione di 250 milioni di euro. Impegni che l’Ilva non può affrontare nelle condizioni finanziarie in cui si trova. Sebbene l’Ilva produca gas con gli altiforni, che poi viene inviato alla centrale elettrica e trasformato in energia per alimentare l’area a freddo dello stabilimento, il gas che proviene dall’esterno serve comunque a impianti del ciclo produttivo.

Ora, con un piano di prefermata degli altiforni, l’Ilva si prepara alla possibilità che l'Eni sospenda davvero la fornitura. Gli altiforni, a causa della loro complessità tecnica, hanno infatti bisogno di un tempo preliminare di preparazione prima di essere fermati e in questo senso le manovre sono cominciate. C’è un calendario operativo già partito il 15 dicembre con la prefermata di 24 ore dell’altoforno 2. Oggi invece toccherà all’altoforno 5 che sarà soggetto ad una prefermata di 16 ore. Il 18 dicembre verrà messo fuori servizio l’altoforno 2 mentre il giorno successivo ci sarà una prefermata di 24 ore dell'altoforno 4. Si prosegue il 21 con una seconda prefermata di 16 ore dell'altoforno 5, quindi altri due fermi in sequenza: il 23 dicembre dell'altoforno 4 e infine il 27 dicembre dell'altoforno 5. Questo per prepararsi alla data finale del 29.

Dall’arrivo della lettera ad oggi, il debito non è stato affrontato, anche perché la seconda e ultima rata del prestito ponte delle banche - 125 milioni - è servita all’Ilva per pagare soprattutto stipendi, tredicesime e rata del premio di risultato ai suoi 16mila dipendenti, di cui 11mila a Taranto, e a saldare parte del credito avanzato dall'indotto-appalto per i lavori effettuati (10 milioni alle imprese di Taranto dopo i 34 versati tra settembre e ottobre con i primi 125 milioni del prestito). L’Eni, quindi, rimane tra i fornitori maggiori che attendono di essere pagati. Le ultime stime quantificano in 350 milioni complessivi l’esposizione dell’azienda su questo versante. Probabile che non si arrivi effettivamente al blocco del gas - perché l'Eni è un fornitore molto importante e perchè il Governo sta monitorando la situazione - ma l’avvio della prefermata mette in tensione lo stabilimento, oltrechè confermare le enormi difficoltà finanziarie dell'azienda e quindi l'urgenza di metterla in salvo.

Il decreto legge a cui sta lavorando il Governo sembra propendere per una soluzione pubblica a tempo determinato proprio per affrontare i problemi più urgenti dell’Ilva a partire dal risanamento ambientale. L’Ilva verrebbe ammessa, come ormai si prefigura da qualche settimana, alla legge Marzano sull’amministrazione straordinaria che però verrebbe modificata anche per salvaguardare i crediti di imprese appaltatrici e fornitori le cui attività verrebbero ritenute strettamente funzionali a quelle del gruppo siderurgico. Oggi pomeriggio, infine, il commissario dell’Ilva, Piero Gnudi, farà il punto della situazione alle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera. Potrebbe essere la sua ultima audizione in veste di commissario perché Gnudi ha manifestato l’intenzione di lasciare l’incarico affidatogli sei mesi fa dal Governo ritenendo esaurito il suo compito. Che era quello di traghettare l’azienda verso una prospettiva meno incerta la cui definizione è adesso nelle mani del Governo.

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