Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 18 dicembre 2014 alle ore 06:49.

My24

NOI E GLI ALTRI

In Francia e Belgio,

Opel, Ford e Peugeot

hanno chiuso stabilimenti

in tempi molto più brevi

ma con indennizzi più elevati

A tre anni da quando l'ultima Ypsilon è uscita dalla linea di montaggio della fabbrica Fiat a Termini Imerese, lo stabilimento ha ancora 700 dipendenti in Cassa integrazione. Delle ormai decine di progetti veri o presunti per ridare vita allo stabilimento, nessuno si è finora concretizzato; dopo l’uscita di scena della Grifa, l’ultima speranza si chiama ora Metec, un’azienda fornitrice del gruppo Fiat che punta a produrre componenti per auto; l’incontro fra la Metec e i sindacati è in programma per domani. I tempi sono ormai strettissim i: se il contratto di programma non verrà firmato entro fine mese, per i dipendenti Fiat scatterà la mobilità: la Cassa integrazione scadrà infatti il prossimo 31 dicembre e non potrà essere rinnovata a meno che la fabbrica non venga ceduta (in tal caso potrebbero essere concessi fino a due anni di Cig per ristrutturazione).

Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat Chrysler, parlò per la prima volta di «impossibilità di continuare la produzione di auto in Sicilia» nel giugno del 2009 (forse non a caso, una settimana dopo l'acquisto di Chrysler); l'annuncio della chiusura di Termini arrivò a metà 2010. L'ultima vettura fu prodotta il 25 novembre 2011, e i circa 1.600 dipendenti della fabbrica vennero immediatamente collocati in Cassa integrazione. Il meccanismo della Cig è finanziato in parte tramite versamenti mensili di aziende e lavoratori dipendenti; in caso di crisi prolungate, come quella del settore auto negli ultimi anni, il costo del meccanismo è tuttavia largamente superiore a tali contributi. Il Sole 24 Ore ha calcolato che nell'arco del decennio 2004-2013 il meccanismo della Cassa abbia permesso a Fiat Group Automobiles (ora Fca Italy) di ridurre i costi salariali in Italia di quasi 2 miliardi di euro, a fronte di circa 200 milioni di contributi versati nel periodo.

La patata bollente di Termini Imerese finì già nel 2010 sul tavolo del Governo, alla guida del quale c'era allora Silvio Berlusconi. Come d'uso in questi casi, l'esecutivo avviò la ricerca di possibili aziende interessate a subentrare, ricerca proseguita con i Governi Monti e Letta. Tutti i candidati si sono però rivelati poco solidi finanziariamente (uno per tutti il caso della Dr Motor, poi finita in concordato preventivo), o i loro piani di rilancio inconsistenti. I termini per presentare proposte sono stati più volte prorogati - invano. A tre anni e quattro Governi dalla chiusura, a Termini Imerese gli operai ancora a libro paga di Fiat sono scesi a circa 700: molti hanno accettato gli incentivi alla mobilità, per i quali l'azienda ha speso finora (secondo fonti sindacali) circa 20 milioni; Fiat non ha mai comunicato in dettaglio i costi .sostenuti

Il dossier non si è smosso con l'arrivo a Palazzo Chigi di Matteo Renzi, il quale aveva parlato a fine agosto di «un'offerta per Termini da parte di un qualificato costruttore cinese», L’offerta non si è poi materializzata.

Nonostante i fondi messi a disposizione dei potenziali investitori dallo Stato e dalla Regione Sicilia (140 milioni solo da quest’ultima per l’accordo di programma), fino a martedì l’unica proposta sul tavolo del Ministero per lo sviluppo economico era quella di Grifa, una società italiana fondata pochi mesi fa, guidata da un paio di ex manager Fiat e che vantava finanziatori brasiliani (il Banco Brj). I timori emersi quasi subito sulla sua solidità finanziaria si sono rivelati fondati. Dopo che il Mise «ha archiviato l’interlocuzione con Grifa», è spuntata Metec, che si era già candidata a rilevare un’altra fabbrica in crisi - la Om Carrelli di Bari (si veda l’articolo qui a fianco).

Fiat Chrysler non è l’unico costruttore europeo in difficoltà. Per la crisi del settore auto (tra il 2007 e il 2013 le vendite sono crollate del 23% in Europa e del 48% in Italia) anche Opel, Ford e Peugeot sono state costrette a ridurre la capacità produttiva. Rispetto all’Italia i casi esteri vedono in genere tempi più rapidi per l’esame delle possibili alternative, oneri molto più elevati a carico dell’azienda che chiude e indennizzi più consistenti per i dipendenti licenziati.

La Opel ha chiuso a fine 2010 la fabbrica di Anversa, in Belgio; i macchinari sono stati venduti all’asta entro i sei mesi successivi (il terreno è stato ceduto nel 2014 all’Ente portuale di Anversa per 50 milioni di euro). L’intera operazione è costata parecchio all’azienda: 527 milioni di dollari nel solo 2011 (415 milioni di euro al cambio attuale) di separation charges, ovvero indennizzi ai 2.600 dipendenti e aiuti alla riqualificazione. Ford ha a sua volta chiuso tre stabilimenti, il più grande dei quali a Genk, in un’ex zona di miniere del Limburgo, la regione più depressa del Belgio fiammingo. Il costo complessivo per il gruppo americano è stato di circa 1 miliardo di dollari - circa 800 milioni di euro al cambio attuale - tra indennità di licenziamento e aiuti al ricollocamento dei dipendenti. In Francia l’ampia ristrutturazione del gruppo Peugeot, con il taglio di 8mila posti di lavoro e la chiusura della fabbrica di Aulnay (con 3mila esuberi), è costata all’azienda oltre 600 milioni di euro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi