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Questo articolo è stato pubblicato il 24 dicembre 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 02 gennaio 2015 alle ore 16:14.

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Più 1% allora, -0,5% oggi. Scostamenti in apparenza ridotti ma che a Bergamo segnalano il gap tra il “prima” e il “dopo”, tra un periodo in cui le chiusure aziendali erano sopravanzate sempre e comunque da nuove aperture ed un altro in cui accade l’opposto. Nel tasso di variazione delle imprese attive, con una curva inclinata inesorabilmente verso il basso dal 2007 ad oggi, si può cogliere lo stato di sofferenza del territorio, che presenta nel saldo globale numeri in calo ormai da dieci trimestri consecutivi.

Il dazio che Bergamo paga alla lunga recessione si traduce in 13 punti di produzione persi dal picco del primo trimestre 2007, con un livello di utilizzo degli impianti sceso di sei punti al 67% e sofferenze bancarie per le attività industriali quadruplicate in 5 anni a 836 milioni. Per la manifattura in senso stretto la caduta della domanda interna ha avuto effetti pesanti riducendo il perimetro delle aziende attive a 11.260 unità, 700 in meno rispetto al dato di fine 2009. Grazie all’ampio utilizzo degli ammortizzatori sociali (sette anni fa vi faceva ricorso il 3% delle imprese, oggi il 19,1%) l’occupazione ha tenuto sui livelli di allora sia a livello globale (463mila unità ) che per la manifattura (158mila), anche se dai picchi del 2011 per l’industria in senso stretto i posti di lavoro persi sono stati ben 12mila. Dal 2007 le ore di cassa integrazione autorizzate si sono moltiplicate per dieci, arrivando lo scorso anno a 38 milioni. I dati 2014 vedono un arretramento dell’8%, anche se la quota di cassa straordinaria - dunque di crisi strutturali - balza al 50% del totale, quindici punti in più rispetto allo scorso anno.

A fronte di un’occupazione stabile sono però in crescita evidente le persone in cerca di lavoro, triplicate a 37mila unità dal 2007: per una provincia come Bergamo, abituata ad un tasso di senza lavoro quasi nullo (2,6% sette anni fa), ritrovarsi a quota 7,4%, che pure rappresenta il miglior dato lombardo, rappresenta un evidente shock.

Se il quadro odierno sul fronte del lavoro resta poco brillante, con un saldo tra ingressi e uscite negativo da tre anni consecutivi, alimentato in particolare dalla pesante emorragia di imprese nelle costruzioni, per la produzione si vede ora qualche spiraglio, soprattutto grazie alla domanda estera. L’output cresce da sei trimestri consecutivi, con vendite oltreconfine che nel primo semestre sfiorano i sette miliardi di euro, in media il 38% delle vendite globali delle aziende.

Bergamo, che vede nei primi 11 mesi del 2014 un crollo del 27% dei fallimenti nel settore manifatturiero, si conferma così uno dei “campioni” dell’export nazionale, quinta provincia italiana per valori assoluti, arrivati lo scorso anno a superare quota 13 miliardi di euro, oltre il picco del 2007.

I risultati dei primi nove mesi dell’anno per le vendite sui mercati esteri, con una crescita del 4,t%, oltre il triplo della media italiana, rappresentano per Bergamo il nuovo record storico, con una spinta che in particolare arriva dai paesi europei e in termini settoriali da gomma-plastica (+6,2%) e macchinari (+6%).

Per il distretto della gomma del Sebino (+10,4% l’export nel 2014) , così come per l’area vasta dei beni strumentali, le vendite oltreconfine rappresentano la principale risorsa in un momento di stasi della domanda interna, con alcune aziende che arrivano a realizzare oltre l’80% dei ricavi sui mercati internazionali. Tra 2007 e 2013 per i macchinari la crescita internazionale è evidente, con un balzo dell’export superiore al 30%, mentre il percorso inverso è stato seguito dal settore forse più pesantemente colpito in questi anni dalla crisi, cioè il tessile. In sei anni il perimetro del comparto si è ridotto di oltre un quarto a 484 unità, nello stesso periodo le vendite oltreconfine sono scese in proporzione analoga, il che si traduce in 150 milioni di incassi esteri in meno per le aziende nei primi sei mesi del 2014.

Rispetto ad altre aree Bergamo può contare sulla presenza più spinta che altrove di un numero rilevante di medie aziende, (Brembo, Italcementi, Same-Deutz-Fahr e Tenaris Dalmine sono alcuni esempi) in grado di rappresentare un punto di appoggio fondamentale per l’indotto.

La quota di medie aziende, tra 50 e 249 addetti, rappresenta il 29% della forza lavoro, sette punti oltre la media italiana. Presidio di “big” che si traduce anche in percorsi di innovazione più spinti, con Kilometro Rosso e consorzio Intellimech a rappresentare i punti apicali sul territorio.

Dal lato infrastrutturale Bergamo è uno delle poche province italiane a poter vantare miglioramenti significativi negli ultimi anni: nel 2007, alla vigilia della crisi, l’autostrada Brebemi era ancora un progetto mentre lo scalo di Orio al Serio aveva un terzo di passeggeri in meno.

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