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Questo articolo è stato pubblicato il 24 dicembre 2014 alle ore 06:37.

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L’INCOGNITA

La famiglia Riva sarebbe pronta a ricorrere alle vie legali nel caso in cui si configurasse una nazionalizzazione   

Il decreto per l’Ilva si prepara ad approdare oggi in Consiglio dei ministri e la proprietà studia le contromisure da mettere in campo. Secondo fonti industriali la famiglia Riva, che formalmente controlla il 90% del capitale sociale, sarebbe pronta a ricorrere alle vie legali nel caso in cui si configurasse – prima attraverso un commissariamento ex legge Marzano, quindi con una cessione di ramo d’azienda – una nazionalizzazione del gruppo siderurgico italiano. Gli studi legali sono già stati allertati, si attende solo di conoscere nel dettaglio il testo del decreto. In queste ultime settimane i Riva avrebbero contattato, senza avere risposte, Palazzo Chigi. Senza risposta è rimasta anche la lettera inviata al commissario di Ilva, Piero Gnudi, dall’azionista di minoranza di Ilva, rappresentato dalla famiglia Amenduni, titolare del 10% della società ed estranea all’inchiesta della magistratura.

Lo schema studiato dal Governo prevede, nello specifico dell’Ilva (in Cdm si discuterà un «decreto Taranto», che prevede interventi anche su porto, arsenale, ospedale, teatro) due step. Prima ci sarà il commissariamento dell’azienda secondo la legge Marzano modificata ad hoc. Una volta varata l’amministrazione straordinaria (considerati i tempi tecnici ci vorrà una ventina di giorni) sarà messa a punto l’operazione finanziaria: nella newco saranno conferite (ancora da definire se con affitto o acquisizione diretta) le attività produttive (non è ancora chiaro se e quali asset resteranno nell’ex Ilva per le attività di liquidazione) e i dipendenti. Nel capitale entreranno Fintecna (con un capitale tra i 100 e i 200 milioni) e un altro soggetto pubblico (forse il Fondo strategico italiano). La newco (si prevede una statalizzazione temporanea per un periodo massimo che durerà dai sei mesi ad un anno) si occuperà del rilancio industriale e del risanamento ambientale. Il decreto non dovrebbe contenere indicazioni finanziarie o modifiche normative dirette dell’Aia (in questi giorni è circolata l’ipotesi di una riduzione dagli attuali 1,8 miliardi di oneri a circa 1,1 miliardi). Entrambi i fronti saranno affrontati in una seconda fase dal commissario, che dovrà dialogare con magistratura, fornitori e privati interessati all’acquisizione. Il sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno, ha assicurato ieri che sara previsto un «rispetto rigoroso delle prescrizioni Aia e investimenti per la bonifica ambientale». Il subcommissario all’ambiente dell’Ilva, Corrado Carrubba, si è detto «certo che il decreto darà continuità alla qualità e sicurezza ambientale seguite finora». Sono state approvate, nel frattempo, le modifiche per la gestione delle due discariche dei rifiuti.

Sul piano più strettamente industriale-finanziario un primo elemento di problematicità, in questo schema di salvataggio, è rappresentato dal ruolo delle banche, che rischiano, al di là dell’accordo sulla prededucibilità dei crediti, di non vedere soddisfatta gran parte delle loro pendenze nei confronti del gruppo siderurgico. A rischio anche i crediti dei fornitori (a questo proposito, però, si stanno cercando delle soluzioni per tutelarne gli interessi) e, come visto, il ruolo dei proprietari, che perderebbero il controllo della società.

Un altro elemento di incertezza è riconducibile alla capacità del nuovo soggetto gestore di reperire le risorse necessarie alla gestione. Il meccanismo di intervento statale, se non gestito con le dovute cautele, può creare frizioni a livello europeo (ieri il premier Matteo Renzi ha dichiarato: «se l’Europa vuole impedire di salvare i bambini di Taranto ha smarrito la strada di casa»). Se da un lato la scelta di Fintecna come contenitore dell’iniziativa è a prova di contestazioni, dall’altro ci sono difficoltà nel «dotare» il veicolo societario per implementare l’Aia e finanziare il circolante, visto che Cdp (che controlla Fintecna) per legge non può investire in assenza di garanzie di rientro dell’investimento (anche le «regole di ingaggio» del Fondo strategico sono, su questo piano, rigide). Un aiuto potrebbe venire, secondo alcuni osservatori, dal fondo per rischi e oneri della stessa Fintecna, che porta in dote circa un miliardo di euro (990,4 milioni secondo l’ultimo bilancio pubblicato). Il fondo, si legge nel bilancio, «accoglie stanziamenti atti a fronteggiare oneri e perdite probabili», legate, per esempio, ai contenziosi originati dalle incorporazioni delle società in liquidazione dell’ex gruppo Iri, oppure legati alle «probabili passività – si legge sempre nel bilancio – derivanti dagli impegni assunti in sede di privatizzazione e razionalizzazione societaria effettuate dalle società dell’ex gruppo Iri».

Resta ancora, in via di definizione, poi, anche la governance. Il Governo pensa alla nomina di tre commissari, di cui due si occuperanno dell’attività liquidatoria in senso stretto, mentre uno si occuperà della gestione della newco, diventando di fatto l’ad dell’Ilva statalizzata. Negli ultimi giorni è emerso per questo ruolo il nome di Roberto Renon, attuale managing director di Ilva (nominato 4 mesi fa dal commissario Piero Gnudi) con un passato da manager pubblico in Enel. Meno probabile l’ipotesi Piero Nardi, attuale commissario straordinario di Lucchini (i bandi sono ormai chiusi e la maggior parte degli asset hanno trovato un compratore). Per il professionista, ex dirigente Italsider, non è da escludere però, un coinvolgimento come liquidatore, magari a fianco dello stesso Gnudi. In questo caso, Nardi potrebbe operare direttamente dagli uffici dell’Ilva di viale Certosa, a Milano (riducendo in questo modo i rischi di «incompatibilità ambientale» legati alla sua recente condanna in primo grado a 8 anni e sei mesi per le morti da amianto a Taranto durante la gestione Italsider).

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