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Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 31 dicembre 2014 alle ore 09:27.

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In numerose occasioni, anche in tempi recenti, abbiamo ascoltato commenti lusinghieri sull’industria farmaceutica nazionale. Politici, opinion leader, commentatori hanno sottolineato i buoni risultati delle aziende del settore e qualcuno si è spinto fino a definire il nostro Paese come la Pharma valley d'Europa.

Tanto entusiasmo è certamente condivisibile e rende orgogliosi noi che operiamo nel settore. L'industria farmaceutica rappresenta sicuramente un settore strategico per l'Italia oltre che per la ricerca e sviluppo anche per la sua attività manifatturiera ( siamo il secondo produttore in Europa per valore della produzione con oltre il 70% di export) e abbiamo visto il valore della produzione farmaceutica raggiungere nel 2013 i 27,6 miliardi di euro registrando una crescita media negli ultimi dieci anni superiore al 3%.

Tuttavia la buona salute del settore è oggi seriamente minacciata da alcuni elementi strutturali legati alle dinamiche di funzionamento del Paese Italia. In particolare la conquista di ulteriori quote nelle produzioni farmaceutiche passa attraverso un adeguato livello di competitività delle nostre imprese che operano in un mercato sempre più globale. Su questa dimensione il nostro Paese presenta diversi elementi di debolezza: inefficienza burocratica, elevata pressione fiscale e instabilità del quadro normativo erodono parte del vantaggio competitivo acquisito dal Paese negli ultimi anni.

Dato il contesto, l’obiettivo prioritario è recuperare attrattività a livello di sistema Paese, definendo delle politiche per rilanciare le industrie produttrici di medicinali, in modo da attrarre investimenti dall'estero e di confermare quelli già effettuati. Per traguardare questo obiettivo è necessario intervenire su due fronti contemporaneamente: accelerazione e certezza nei tempi dei processi autorizzativi e incentivo all'innovazione.

Le aziende farmaceutiche multinazionali operano sulla base di una pianificazione sempre più stringente (strategica, annuale e mensile) e qualsiasi incertezza a livello di contesto può dirottare una nuova iniziativa produttiva su Paesi ritenuti più affidabili ed efficienti. Sotto questo punto di vista è fondamentale che tutte le autorità, centrali e locali, siano messe nelle condizioni di rispondere in tempi adeguati a quanto avviene negli altri paesi.

Si attendeva, ad esempio, un atto legislativo che mettesse l'Aifa nelle condizioni di svolgere la propria attività regolatoria e di controllo in tempi e con criteri comparabili con quelli delle agenzie di altri Paesi. Aifa infatti ha un ruolo fondamentale nella valutazione dei dossier autorizzativi, nelle importazioni ed esportazioni dei prodotti, ed è essenziale ed urgente che sia messa in condizione di competere con le altre autorità. Ma la sua riforma è rimasta al palo.

Inoltre, il livello di tassazione è uno dei principali driver considerato dalle case farmaceutiche multinazionali nella selezione dei Paesi dove insediare headquarters e hub produttivi. Paesi che hanno agito su questa leva come la Gran Bretagna (aliquota fiscale al 20%, carico fiscale sulle imprese del 35% più basso della media dei Paesi del G7) sono diventati delle vere e proprie calamite per gli investimenti delle imprese farmaceutiche multinazionali.

Ometto di elencare gli altri lacci lacciuoli che riguardano il sistema delle imprese in generale sui quali si è più volte pronunciata la Confindustria e per il nostro settore la Farmindustria. Ciò che è certo è che se non verranno programmati e messi in atto provvedimenti di riforma adeguati per sostenere l'attività del settore rischiamo nel volgere di qualche anno di trasformare la tanto decantata Pharma valley in un deserto.

Presidente e amministratore delegato Kedrion Biopharma

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