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Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2015 alle ore 18:59.

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Marghera negli anni '70, con circa 30mila addetti, aveva la più grande concentrazione industrrale d'Europa. Una raffineria, un polo chimico integrato, i cantieri navali, l'alluminio, le vetrerie, i fertilizzanti, le materie plastiche. Stabilimenti enormi e aziende piccole e medie di ogni settore serviti da un porto spazioso, dall'autostrada e dal nodo ferroviario che collega con la Germania via Brennero e con il triangolo industriale dell'Ovest padano.

I cambiamenti del mondo, la globalizzazione spinta, le economie di scala, la ristrutturazione profonda dell'industria chimica europea (non esistono più nomi come Ciba Geigy, Sandoz, Montedison, Elf Aquitaine, Ici) hanno reso il polo di Marghera sempre più marginale, come marginale è diventata tutta l'Europa delle commodity e delle grandi produzioni massive che in Europa erano nate. Per questo motivo oggi il polo industriale di Marghera è un enorme spazio che pare senza confini, abbandonato (in apparenza), punteggiato da impianti lontani e spenti. Le produzioni specializzate ci sono ancora; per esempio nei cantieri di Marghera nascono alcune delle navi da crociera più amate al mondo.

Marghera fino a cent'anni fa era il nome di una fortezza eroica sul bordo della laguna, che nel 1849 resistette a lungo all'assedio degli austriaci del Radetzky. Ai primi del ‘900 l'industria veneziana aveva bisogno di espandersi, e dopo avere occupato alcune isole della laguna come la Giudecca gli stabilimenti e i sobborghi operai non avevano più spazio per crescere se non allargandosi sulla terraferma. Nel 1905 si decise di bonificare le paludi dei Bottenighi, al margine della laguna di Venezia tra il forte Marghera e la bocca del fiume Brenta a Fusina per costruirvi un porto industriale e un'area produttiva alle spalle. Promotori il patrizio veneziano Pietro Foscari e le famiglie industriali Cini, Volpi, Valeri Manera. Il terreno tolse spazio all'acqua e gli stabilimenti nacquero dal 1917, mentre a pochi chilometri lungo il Piave il regio esercito e gli imperial-regi austroungarici si massacravano nelle trincee.

Il primo insediamento era legato soprattutto all'elettricità (la Sade, Società adriatica di elettricità, era una delle grandi aziende dell'oligopolio), alla metallurgia e alla chimica di base. La seconda vita di Marghera è figlia della corrente elettrica. Nel 1954 la società elettrica Edison si gettò nella chimica con la Sic Edison. Se in una salamoia di acqua e sale (il sale è cloruro di sodio) si inietta corrente elettrica a carriolate, il sale si divide nei suoi due componenti. La soda serve per i detersivi (negli anni ‘50 l'Italia scopriva la lavatrice, che usa corrente elettrica e detersivo) e il cloro serve a fare il Pvc, polivinilcloruro, una delle più importanti plastiche. Nel 1954 l'Edison avviava a Marghera l'impianto Cv1, sigla di cloruro di vinile numero 1, per fare Pvc.

Nello stesso anno 1954 accadeva un altro fatto. In un laboratorio di una società mineraria diventata chimica, la Montecatini, la sera dell'11 marzo Giulio Natta, prima di spegnere la lampada da tavolo, impugnò la penna stilografica e sull'agenda poggiata sulla scrivania scrisse tre parole che avevano la semplicità del genio: “Fatto il polipropilene”. Aveva inventato una delle grandi plastiche. Nel 1963 con quel polipropilene Natta vinse il premio Nobel per la chimica. Il fervore chimico faceva costruire un impianto dpopo l'antro e nel '61 si scoprì che gran parte degli stabilimenti veneziani costruiti dall'Edison e dalla Montecatini erano abusivi. Nel '62 lo Stato (e soprattutto il Psi) decise che tutta l'elettricità sarebbe stata nazionalizzata. La Montecatini acquistò la società elettrica veneziana Sade, la cedette al neonato ente elettrico di Stato, l'Enel, e si trovò piena di soldi.L'Edison cedette al neonato ente statale Enel tutte le sue centrali, restando con le casse piene di soldi e con le attività industriali non elettriche.

La conseguenza fu la fusione tra le due società e nacque la Montedison, che aveva le radici e il maggiore polo produttivo a Marghera. Il popipropilene portato in dote dalla Montecantini si chiamava Moplen, il Pvc portato dall'Edison era la finta pelle (lo scai) che faceva moda negli anni '60 e che rivestiva le poltroncine delle Fiat 500. Era chimica che inquinava molto. Non si sapeva per esempio che la materia prima del Pvc, il cloruro di vinile, è cancerogeno, e gli operai ne morivano. Sul cemento grigio di un muro di cinta del polo industriale una mano anonima scrisse con vernice rossa una scritta gigante, Mortedison, che rimase leggibile per decenni, sempre più stinta sul muro sempre più vecchio. Marghera era scuola di sindacato, di politica e anche di terrorismo, come ricorda la terribile uccisione di un dirigente della Montedison, Giuseppe Taliercio, assassinato dalle Brigate Rosse nel 1981 perché ritenuto corresponsabile della morte inquinata di tanti operai.

Oggi la chimica è cambiata. Il polo di Marghera è in crisi da anni perché una volta pareva grandissimo ma oggi è troppo piccolo e costoso rispetto ai colossali petrolchimici nati dove ci sono i giacimenti di petrolio oppure nei Paesi di nuova industrializzazione.
Il piano di rinvestimento parte dalla biologia delle piante per produrre, con fabbriche nuove e processi rivoluzionari, gli stessi prodotti di prima, ma migliori e più competitivi che il mondo dovrà copiare. La vecchia raffineria petrolifera è già stata sostituita dalla nuova bioraffineria che produce diesel all'olio. Al posto della benzina, altre aziende produrranno benzina all'alcol che nasce dalla tecnologia italiana e dalle colture nazionali.

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