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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2015 alle ore 06:38.

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Il Vietnam piace sempre di più ai capitali esteri: nel 2014, gli investimenti diretti nel Paese hanno raggiunto quota 24 miliardi di dollari, con una crescita del 31% che ne ha fatto la seconda destinazione di Ide in Asia, dopo la Cina e prima dell’India.

I dati sugli investimenti greenfield, vale a dire ai progetti che partono da zero, sono stati elaborati da Fdi Markets, un servizio di proprietà del Financial Times. L’anno scorso, il Vietnam si è aggiudicato il 9% della torta destinata all’Asia (la Cina ha assorbito il 30%). Il numero di progetti è addirittura raddoppiato rispetto al 2013: 241, contro 118. Solo quattro Paesi hanno fatto meglio: Cina, India, Singapore e Australia. Il 2014 si chiude però al di sotto del picco registrato nel 2008, prima della crisi globale. Cinque anni fa, il Vietnam era stato in grado di attirare 350 progetti, per un valore in termini di investimenti di capitale quasi triplo rispetto a quello del 2014.

Il Pil del Vietnam è cresciuto del 6% l’anno scorso, scrollandosi di dosso le difficoltà che ne avevano frenato la corsa e recuperando un passo perso dal 2011. Proprio grazie agli Ide, il settore manifatturiero è cresciuto dell’8,5%, secondo l’Asian development bank, che per il 2015 e il 2016 prevede un’espansione del Pil rispettivamente del 6,1 e 6,2%. A partire dal 2003, quando Fdi Markets ha cominciato a raccogliere i suoi dati, il Vietnam ha visto arrivare 2.394 progetti greenfield. Il maggior numero di investimenti arriva da Giappone (554 progetti), Stati Uniti (288) e Corea del Sud (187). La metà di questi progetti riguarda il settore manifatturiero, in linea con le politiche di sviluppo del governo di Hanoi , che ha l’obiettivo di fare del Vietnam un Paese industrializzato entro il 2020.

L’aumento del costo del lavoro in Cina aiuta, facendo del Paese una valida alternativa, anche se in competizione con le altre economie della regione, dall’Indonesia, alla Cambogia al Laos. Hanoi può comunque giocarsi le sue carte, forte anche del potenziale di crescita del mercato domestico. È questo è il principale motivo per cui dichiara di preferire il Vietnam il 60% degli investitori stranieri, secondo Fdi Markets. Solo il 10% fa riferimento al basso costo del lavoro, anche se un operaio vietnamita costa meno di un collega malese, thailandese e filippino. Gli stipendi sono allo stesso livello di quelli pagati in Indonesia, che tuttavia sconta un più complicato habitat per le imprese. Secondo una società “sorella” della Fdi Markets, Fdi Benchmark, i costi operativi di un impianto farmaceutico-biotech o di un centro di produzione di dispositivi medicali, sono in media del 50% più bassi in Vietnam che in Cina. Per una fabbrica di auto, lo spread è del 40%.

Così, per esempio, alla fine del 2014, la statunitense Proctor & Gamble ha annunciato un impianto da 100 milioni di dollari nella provincia di Binh Duong, il cuore manifatturiero del Paese, dove anche diverse aziende italiane sono presenti. Un altro big player nel Paese è Samsung, che oltre alle attività già operative, starebbe valutando di trasferire in Vietnam o in Cina parte della produzione di schermi Lcd, per far fronte all’aumento del costo del lavoro in Corea del Sud. Samsung è il maggior investitore estero in Vietnam e si prepara a diventare il più grande datore di lavoro straniero nel Paese. I capitali coreani, con il loro valore aggiunto in termini di tecnologie e managerialità, fanno gola ad Hanoi, che per facilitarne i flussi ha appena siglato con Seul un accordo di libero scambio.

Nei primi quattro mesi del 2015, secondo il governo, gli investimenti diretti esteri effettivamente stanziati sono aumentati del 5% rispetto allo stesso periodo del 2013. Non sempre però le promesse di investimento si traducono in realtà e la storia del Vietnam, come quella di molti altri Paesi, è piena di progetti milionari che non hanno mai visto luce. Così, le autorità governative hanno cominciato a stringere la cinghia e le nuove licenze concesse tra gennaio e aprile sono state il 17% in meno su base annua. Dietro questa maggior cautela non c’è solo la necessità di restringere gli spazi di manovra di attività speculative di vario tipo, a cominciare da quelle sui terreni. Dopo aver assorbito un fiume di capitali esteri, il Vietnam sembra aver cominciato a far selezione, con l’obiettivo di pilotare lo sviluppo verso un sistema economico più sostenibile.

Di recente, la città di Da Nang ha rifiutato due progetti d’investimento per questioni di salvaguardia ambientale. Stesso discorso in altre tre province del Paese, che hanno alzato disco rosso nei confronti di progetti industriali che avrebbero aumentato l’inquinamento, consumato troppa terra e richiesto manodopera non qualificata. Le porte restano aperte invece a chi arriva con progetti hi-tech ed ecosostenibili. «Tutte le maggiori filiere - spiega Maily Anna Maria Nguyen, responsabile del Desk Vietnam di Unioncamere Emilia-Romagna - hanno bisogno di tecnologia e know how per innalzare la qualità delle produzioni. Uno spazio importante per la tecnologie e l’innovazione che le imprese italiane possono offrire».

g.didon@ilsole24ore.com

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