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Questo articolo è stato pubblicato il 20 maggio 2015 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 20 maggio 2015 alle ore 08:07.

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La tecnologia italiana batte il resto del mondo nella sfida per costruire la prima centrale nucleare a fusione. Niente a che vedere con la fissione delle nostre convenzionali centrali atomiche all’uranio, che furono inventate una settantina d’anni fa dal genio italiano di Enrico Fermi e dai “ragazzi di via Panisperna”. Questa invece è (anzi, sarà) l’energia dall’idrogeno, inesauribile e pulita, la stessa che muove il sole e le altre stelle.

Dei 3,2 miliardi di euro stanziati finora per il progetto internazionale Iter (International thermonuclear experimental reactor) 978 milioni sono stati assegnati a imprese italiane ad altissima tecnologia. Sono le eredi di quella tradizione scientifica e tecnologica che oggi fa sì che i fisici italiani (maltrattati in Italia) siano i più ambìti nei centri ricerche di tutto il mondo e che le aziende italiane (senza sbocchi in Italia) siano le più richieste per applicazioni che altri non sanno fare.

Ne ha parlato ieri sera a Castellanza (Varese) Federico Testa, commissario dell’Enea, all’Università Liuc Cattaneo in un incontro del Circolo delle idee, iniziativa di fundraising per avvicinare l’ateneo alle reali necessità di formazione richiesta dal mondo produttivo.

Al progetto Iter partecipa l’Unione europea (da qui la presenza italiana) con Cina, Corea, Giappone, India, Russia e Usa; la Francia mette a disposizione il luogo (Caradache) dove si sta costruendo il primo reattore a fusione del mondo, che costerà in tutto 20 miliardi.

Il reattore di 23mila tonnellate e alto 30 metri dovrebbe raggiungere nel 2050 l’obiettivo di produrre elettricità fondendo tra loro atomi d’idrogeno, che diventano un atomo d’elio emettendo calore ed energia.

Dei 3,2 miliardi messi a bando dal 2008 al 2014 per la costruzione di Iter, le imprese italiane di tecnologia hanno avuto commesse per 978 milioni, cioè molto di più della metà della spesa per apparecchiature, ricerche e tecnologia. La Francia, dove sta sorgendo l’impianto rivoluzionario, invece è prima per la parte di edilizia, affidata soprattutto a imprese locali.

Due terzi dei contratti italiani si concentrano in tre regioni (Piemonte, Liguria e Marche), seguono imprese venete, poi lombarde e toscane. Altre quote minori a Lazio, Emilia Romagna, Umbria e Campania. Il resto dell’Italia tecnologica è marginale.

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