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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2015 alle ore 06:38.

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Una gallina dalle uova d’oro rimasta sinora addormentata. Materie prime (tante, per quantità e varietà), risorse naturali (acqua e legname per milioni di chilometri quadrati). E un piano – chiamato Plan Nord – da 50 miliardi di dollari canadesi (37 miliardi di euro circa) che nell’arco di 20 anni punta a sfruttare questo giacimento di inestimabile ricchezza, per il quale il Canada bussa oggi alla porta dell’imprenditoria italiana. In cerca di tecnologia, beni strumentali e capacità ingegneristica della grande come della piccola e media impresa nazionale.

Con questo obiettivo, ieri a Roma, il premier del Quèbec, Philippe Couillard, ha spiegato – nella sede dello studio legale internazionale Nctm – il maxi-piano per il rilancio economico del Canada francofono, coi suoi 8milioni di abitanti (ci vive 1 canadese su 5), il 7% di disoccupazione e poco meno del 2% di crescita del Pil.

Plan Nord è un grande progetto di sviluppo su 20 anni (sino al 2035) per sfruttare economicamente l’area del Quebec settentrionale: 1,2 milioni di metri quadrati (che è 4 volte l’Italia, ovvero oltre il 70% del territorio della Provincia) che si trova a nord del 49° parallelo e del fiume San Lorenzo. Ricco di gas, giacimenti di ferro, rame, zinco, nichel, cobaltom, ma anche oro e diamanti. Oltre a riserve di litio e grafite.

Il Quebec è anche il primo produttore mondiale di idroelettricità «con una sovraccapacità che oggi vende alle province vicine _ ha soiegato Couillard – e che potrebbe alimentare la crescita di un’industria siderurgica che già c’è, ma alla quale mancano infrastrutture».

L’investimento complessivo ammonterà a 50 miliardi di dollari canasesi (circa 37 miliardi di euro). Circa 20 miliardi dovrebbero esssere investiti da Hydro-Quebec, società idroelettrica a capitale pubblico, circa 28 miliardi dovrebbero essere investimenti delle società minerarie mentre la provincia dovrebbe contribuire per circa 2 miliardi a sostegno delle infastrutture.

In tutto, strade, autostrade, collegamenti ferroviari, aeroporti, Internet veloce e un nuovo porto sulla costa settentrionale, per favorire l’industria idroelettrica e del legname, 11 nuovi progetti minerari, un piano di sviluppo turistico, servizi, scuole e strutture per i 120mila abitanti dell’area (discendenti delle popolazioni aborigene suddivisi in 4 nazioni: Inuit, Cree, Innu e Naspakis). Con l’obiettivo di creare (si stima) 20mila posti di lavoro all’anno.

Un piano fortemente criticato da gruppi ambientalisti e da alcune comunità locali che temono lo stravolgimento dell’ecosistema, la deforestazione e uno sviluppo più a misura di multinazionale che di effettivi benefici per l’ambiente e gli abitanti del luogo.

«Non sarà così – spiega Couillard – . Intanto perché da qui al 2035 il piano interesserà solo il 50% dell’area. L’altra metà sarà preservata come riserva naturale anche con politiche attive. Con le associazioni ambientaliste e le comunità locali abbiamo un dialogo aperto e un coinvolgimento continuo. Abbiamo adottato anche alcune soluzioni proposte proprio perchè i benefici siano estesi e nel miglior rispetto dell’ambiente».

Alle imprese italiane Couillard chiede tecnologia. «Abbiamo grandi sfide su un arco di tempo lungo – ha spiegato –. L’industria italiana ha molto da offrire, dai beni strumentali ai trasporti, dalla progettazione ingegneristica alla realizzazione di grandi infrastrutture, sino alle Tlc e all’industria Hi-tech. E molte Pmi sono inserite nelle catene di fornitura internazionali per componentistica, cavi e macchinari, generici e di precisione».

Un legame, quello tra Italia e Quebec, secondo solo a quello con la Francia, che il Ceta (l’accordo di libero scambio tra Europa e Canada, che dovrebbe entrare in vigore il 1° gennaio 2016) dovrebbe rinforzare e facilitare.

«Sono consapevole che alcuni Paesi europei vorrebbero modificare la clausola sugli arbitrati internazionali – spiega Couillard –. L’Italia è tra i Paesi più motivati a far partire l’accordo senza ritardi. I benefici per le nostre economie, in termini di export, investimenti, tutela dei prodotti, sono di gran lunga superiori ad ogni perplessità. Il Canada non è gli Stati Uniti, abbiamo un modello giudiziario e un sistema di regole più simile a quello europeo. Quindi, credo che non ci sia nulla da temere da un accordo che ci avvicina».

Ai giovani italiani che lamentano sempre maggiori difficoltà nel chiedere un visto d’ingresso per lavorare in Canada, Couillard ha risposto: «Dal 1° aprile il Quebec ha modificato le regole per velocizzare le procedure. Rimane però una politica di quote, che ammette lavoratori qualificati (in base a una lista periodicamente aggiornata) e la conoscenza del francese».

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