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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2015 alle ore 06:37.

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Servizio bloccato, su tutto il territorio nazionale, per Uber Pop, l'applicazione gestita dalla società californiana Uber, che permette – in moltissimi Paesi del mondo – ad autisti non professionali di offrire corse private, a prezzi competitivi. L'app fino a due giorni fa era operativa, in Italia, a Milano, Genova, Torino e Roma, con numeri da record: da meno di 24 ore, è inattiva. Nonostante il disappunto di migliaia di utilizzatori del servizio, che ieri sui social network hanno fatto sentire la propria voce.

Così come era deciso, è stato. Il Tribunale civile di Milano, nella persone di Marina Tavassi, presidente della sezione specializzata in materia di impresa, ha, infatti, ribadito ieri quanto già deciso lo scorso 26 maggio dal giudice Claudio Marangoni. Che, con un'ordinanza e in risposta a un'azione legale promossa da diverse sigle di auto bianche, aveva dichiarato Uber Pop “fuori legge”, per concorrenza sleale nei confronti dei taxi e aveva imposto alla multinazionale statunitense di oscurare il servizio entro quindici giorni (cioè appunto entro ieri, 10 giugno).

A nulla è valso il tentativo della startup di sospendere il provvedimento, almeno fino al 2 luglio, data in cui è prevista la discussione del ricorso contro l'ordinanza. Uber non ha potuto far altro che adeguarsi alla legge, anche per evitare di incorrere nelle multe salate – fissate dal giudice milanese – che prevedono 20mila euro di sanzione per ogni giorno di mancata osservanza del blocco. Da mezzogiorno di ieri il servizio è fermo, così come è stato immediatamente comunicato con un messaggio di posta elettronica a tutti gli autisti iscritti alla rete.

«Siamo dispiaciuti per la decisione del giudice di non permettere che Uber Pop continui a operare tra oggi e il 2 luglio, quando ci sarà la prossima udienza – ha commentato Benedetta Arese Lucini, general manager di Uber Italia -. Ovviamente la rispetteremo, ma continueremo a batterci legalmente, affinché le persone possano continuare ad avere un'alternativa affidabile sicura ed economica per spostarsi in tante città. E perché non venga negata a migliaia di driver una risorsa economica».

A esultare per la nuova decisione del Tribunale sono stati, invece, i tassisti. «Da oggi non ci sono più alibi: Uber Pop opera in concorrenza sleale e deve fermarsi», ha detto il portavoce delle organizzazioni sindacali torinesi taxi, Federico Rolando. Che ha anche aggiunto: «Ora non ci resta che attendere quella che sarà l'ultima decisione sul reclamo di Uber, che potrebbe arrivare entro l'estate. Ma la magistratura italiana, ancora una volta, ha dimostrato di avere la schiena dritta».

Il braccio di ferro, che ormai da mesi vede contrapposti taxi e autisti di Uber e che spesso è sfociato in proteste, disordini e anche in episodi di cronaca, non si esaurirà con ogni probabilità con lo stop di ieri. Uber ha dalla sua parte il sostegno, forte, delle associazioni dei consumatori, che spingono perché lo Stato non sopprima l'avvento di nuove forme di mobilità (anche se l'Italia non è il primo Paese a dichiarare fuori legge il servizio). Ieri, diffusa la notizia del blocco, in poche ore si sono scatenate migliaia di reazioni sui social sotto la parola chiave #lamobilitàdelfuturo. Soprattutto, la stessa Autorità di regolazione dei Trasporti si era espressa, appena pochi giorni fa, il 5 giugno, proponendo il riconoscimento delle nuove piattaforme tecnologiche, a patto di una chiara definizione di obblighi e paletti, per evitare forme di concorrenza sleale.

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