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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2015 alle ore 06:37.

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Contratti nazionali più leggeri. Chi lavora nel credito e nel comparto assicurativo in futuro si dovrà abituare a negoziati che si svolgono sempre più in azienda. Il convegno della Uilca, organizzato ieri a Milano dal segretario generale Massimo Masi, su «Contratto Nazionale e Contratti Integrativi» ha portato gli interlocutori, dal presidente del Casl di Abi, Alessandro Profumo, al Chief operating officer del gruppo Intesa Sanpaolo, Eliano Omar Lodesani, fino, anzi soprattutto, l’amministratore delegato del gruppo Unipol, Carlo Cimbri, a fare outing in materia di contratto nazionale. Per Profumo «anche in futuro il contratto nazionale resterà comunque fondamentale perché l’industria bancaria deve avere una struttura contrattuale che definisce con chiarezza una cornice», ma «fondamentale sarà, nell’ambito delle modalità di negoziazione definite dal contratto nazionale, spostare alcuni ambiti di discussione, anche economici, dal contratto nazionale al contratto aziendale, riflettendo le specificità dei singoli gruppi e aziende». La definizione del contratto del fututo di Cimbri è all’insegna della leggerezza «con differenze a seconda dei gruppi e un contratto aziendale che dia più vantaggi ai lavoratori che lavorano nei gruppi che vanno bene». Lodesani con molto pragmatismo dice: «Non importa che le cose si facciano al 1°, 2°, 3°, 4°, 5°, 6°, 7° livello, ciò che è importante è riuscire a trovare le soluzioni giuste. Altrimenti non resta che trovarle in azienda». Trovare soluzioni per Lodesani vuol dire innanzitutto «confrontarsi», guardando al nuovo che fa dire al manager che i nuovi che arrivano sono «Microsoft, Apple, i micropagamenti».

Certamente si pone un problema di rappresentanza. Sul fronte sindacale, ma non solo. Lodesani dice: «Ai sindacati che chiedono rappresentanti dei lavoratori negli organismi aziendali io dico sì, però dico sì non tanto ai sindacalisti quanto a rappresentanti eletti dai lavoratori sul modello tedesco. E dico sì al contratto sul modello tedesco dove il testo è riassunto in 16 pagine. Il patto in quel caso si basa sulla fiducia e nelle aziende il contratto può poi essere armonizzato a seconda delle esigenze». Profumo dice che le parti sociali devono innovarsi e cercare di razionalizzarsi. «Mi domando se abbia ancora senso avere tutte queste organizzazioni di rappresentanza, ma questa è una mia opinione personale e non sto parlando comunque di sindacato unico. E mi domando se abbia senso continuare ad avere Confindustria, Abi, Ania. Bisogna andare verso un modello di rappresentanza un po’ più aggregato». Masi prova a contenere lo slancio datoriale incontenibile verso il rinnovamento e sul modello di sindacato unico dice chiaramente di non essere d’accordo.

A rappresentare le esigenze delle aziende ci pensa Cimbri. «Due anni per presentare la piattaforma, poi due anni per negoziarla. E i contratti che si chiudono sempre scaduti», comincia prendendo le distanze a partire dal tono, dai negoziati all’italiana. «È una ritualità fuori dal tempo - prosegue -, servono cooordinamenti delle diverse anime sindacali per una interlocuzione più facile con le aziende». Cimbri pesa le richieste quando parla alla platea dove trova anche il responsabile della delegazione Ania per il rinnovo del contratto, Luigi Caso. Unipol non partecipa alla delegazione, ma i messaggi di Cimbri arrivano a pioggia. Soprattutto perché Unipol pensa di applicare il nuovo contratto Ania «a meno che non venga fuori un pasticcio», precisa Cimbri. Lo stile provocatorio, solleva molte questioni. «Chiedo se nel 2015 è ancora possibile che il venerdì alle 12 nelle assicurazioni si cala la saracinesca e si va a casa», comincia Cimbri. «La mania di codificare è antistorica, il sistema ha bisogno di maggiore fungibilità». «Bisogna riequilibrare le tutele fra gli operatori dei call center e gli impiegati amministrativi». È una lunga lista, soprattutto perché, conclude Cimbri, «il settore assicurativo è ancora molto più indietro rispetto al bancario, gli ultimi rinnovi sono stati all’acqua di rose».

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