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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2015 alle ore 06:38.

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Sono presenti a Milano e in attesa di aprire a Roma, appena arriverà l’autorizzazione della Banca d’Italia. Yangkun Jin, general manager della filiale milanese della Icbc (Industrial and commercial bank of China), lo ripete nel suo intervento: «vogliamo essere un ponte tra l’Italia e la Cina. E non solo, vista la nostra forte presenza internazionale». Per poi aggiungere, rivolto ai rappresentanti di Unicredit e Bnl, seduti al tavolo: «speriamo in una più ampia collaborazione con le banche italiane».

Fa un esempio di un caso – che è stato risolto – di un’azienda in crisi, la Acc compressors, messa in contatto con un’azienda cinese del Guandong, e che grazie all’accordo nel 2016, tornerà in utile, salvaguardando i 144 posti di lavoro in Italia. Ma i casi sono tanti, aggiunge, e dovranno essere molti di più. Accanto alla Icbc, la China Costruction bank, racconta il general manager della filiale di Milano, Zhe Zhang, sta guardando con grande interesse all’Italia: «la Cina non è più il paese che cresce al galoppo, con un basso costo del lavoro. Ormai il costo del lavoro cresce al 7% l’anno, vogliamo produzioni di qualità e l’Italia è un interlocutore di grande interesse».

Siamo agli inizi, «ma se consideriamo la velocità d’azione dei cinesi nel giro di due o tre anni la presenza finanziaria cinese può crescere molto. Nel commercio in pochi anni il nostro export si è decuplicato», commenta Riccardo Monti, presidente dell’Agenzia Ice, che ieri ha organizzato un seminario sulla cooperazione finanziaria italo-cinese, presente l’ambasciatore della Repubblica popolare cinese, Li Ruiyu. Le banche cinesi, aggiunge, sono colossi, le prime al mondo per capitalizzazione. «La Cina sta puntando ad internazionalizzare il proprio sistema finanziario e la propria moneta. Vuole avere un centinaio di grandi multinazionali. Le banche si sono mobilitate». Si sta canalizzando un forte flusso di investimenti dalla Cina in Italia: l’obiettivo è di averne di più, continua Monti, per per finanziare progetti italiani in paesi terzi, specie nelle grandi infrastrutture, e riuscire a far diventare le banche cinesi operatori a pieno titolo. L’Ice sta lavorando perchè si realizzi la massima collaborazione, sia sull’export ma che su progetti di joint-venture.

In prima linea è anche la Sace, come ha spiegato ieri l’ad Alessandro Castellano. È di questi giorni l’accordo tra Sace e la Bank of China per espandere interscambi e investimenti, facilitando l’accesso a fonti di finanziamento per imprese italiane e cinesi. Un accordo che segue, dice Castellano, quelli con China exim bank; China Merchants bank e Sinosure. «È difficile fare export alla vecchia maniera, si è passati ad una fase più complessa dei rapporti tra i due paesi, servono joint-venture produttive», spiega Castellano, che ha come obiettivo anche una ex-im bank in Italia, come esiste già in altri 28 paesi.«Sembra che i cinesi – ha aggiunto l’ad di Sace – abbiano più voglia di mercato degli europei, ho avuto incontri con investitori istituzionali interessati a forme di investimento sul mercato dei capitali». L’internazionalizzazione finanziaria non è esente da rischi, hanno sottolineato Pierfrancesco Gaggi, responsabile servizio internazionale dell’Abi, e Giuseppe Parigi, che ha lo stesso ruolo in Banca d’Italia. Gaggi si augura che le autorità monetarie cinese governino l’avvicinamento finanziario in modo saggio come è accaduto per quello commerciale; Parigi auspica una collaborazione tra autorità suvigilanza e regole.

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