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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2015 alle ore 06:36.

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Quattro giorni per evitare lo spegnimento dell’altoforno 2 a seguito del sequestro senza facoltà d’uso deciso dalla Procura di Taranto dopo l’incidente mortale dell’8 giugno. È stretto lo spazio che resta all’Ilva per non giungere allo stop dell’impianto. Se non ci saranno fatti nuovi sul fronte giudiziario, il 6 luglio l’altoforno 2 si fermerà perché giungeranno a termine le manovre preparatorie cominciate giorni fa. E dal 7 luglio dovrebbero partire quelle relative allo stop dell’altoforno 4 perché, come spiegato dall’azienda, un solo impianto non può reggere per motivi di sicurezza un intero stabilimento. Proprio perché non c’è molto tempo dopo che lunedì il gip Martino Rosati ha convalidato il sequestro senza facoltà d’uso e rigettato l’istanza con cui l’azienda chiedeva la possibilità di utilizzare l’impianto, l’Ilva ha deciso di giocare entrambe le carte di cui dispone. Ovvero nuova istanza alla Procura per la facoltà d’uso, documentando i lavori fatti per aumentare la sicurezza dell'altoforno 2 e impegnandosi ad effettuarne ulteriori con un cronoprogramma, e impugnazione del sequestro al Tribunale del Riesame pur se i tempi di pronuncia di quest’ultimo vanno sicuramente ben oltre i pochi giorni che restano. Anche ieri gli avvocati dell’Ilva hanno incontrato la Procura. Nessun ricorso è stato ancora depositato.

La richiesta della facoltà d’uso potrebbe però essere avanzata nelle prossime ore. È competenza della Procura, infatti, a fronte di nuovi elementi ritenuti validi, modificare la natura del sequestro disposto.

La vicenda è seguita con attenzione sia dal governo che dai sindacati. Il ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, auspica che siano trovate «soluzioni in grado di mantenere in sicurezza l’attività produttiva, difendere i livelli occupazionali e procedere quanto prima al completamento del programma di lavori ambientali». Il sottosegretario al Lavoro, Teresa Bellanova, afferma che «l’Ilva e il futuro di Taranto sono una priorità nazionale e da questo non si può né si deve prescindere. Lo ribadiamo a maggior ragione oggi dopo il sequestro dell’altoforno 2. È necessario procedere con la doverosa rapidità nei lavori di ambientalizzazione avendo bene in mente che tutela della salute e tutela del lavoro e della produttività possono e anzi devono procedere lungo lo stesso solco».

E che l’Ilva amministrata dai commissari di Stato non voglia lo scontro con la Procura, lo dimostra, a parte il confronto sulla vicenda dell’altoforno 2, anche un altro fatto: dal Mise è arrivato l’ok al patteggiamento dell’azienda, come soggetto giuridico, nel processo «Ambiente Svenduto» in corso a Taranto davanti al giudice dell’udienza preliminare Wilma Gilli. L’Ilva – per la quale è stato chiesto il rinvio a giudizio per la legge sulla responsabilità delle imprese – dovrebbe dunque trovare l’intesa con la Procura, patteggiare la pena e uscire così dal procedimento. Proprio oggi ci sarà una nuova udienza preliminare. Attese le dichiarazioni di Fabio Riva, ex presidente di Riva Fire, che nei giorni scorsi si è consegnato all’autorità giudiziaria ed ora è in carcere a Taranto (a novembre 2012, infatti, il gip Patrizia Todisco dispose per lui l’arresto). E sempre oggi infine udienza al Tar del Lazio sul ricorso presentato da Claudio Riva, ora al vertice del gruppo che resta proprietario dell’Ilva, contro il commissariamento dell’azienda deciso dal governo Letta a giugno 2013. Impugnati anche gli atti successivi del governo e contestata la parte della legge che prevede che i soldi sequestrati ai Riva siano utilizzati nel risanamento ambientale del siderurgico di Taranto perché in contrasto col principio costituzionale di non colpevolezza sino a sentenza passata in giudicato (e per i 52 imputati del processo di Taranto, tra cui Fabio e Nicola Riva, deve essere ancora deciso il rinvio a giudizio dal gup). Da rilevare tuttavia che il Tar del Lazio ha già respinto giorni fa un ricorso di Adriano Riva contro l’emissione delle obbligazioni da parte dell’Ilva per finanziare la bonifica con le risorse sequestrate (1,2 miliardi) mentre il gip di Milano, Fabrizio D’Arcangelo, dando l’ok all’uso dei soldi sequestrati nel risanamento, ha evidenziato la prevalenza degli interessi generali e collettivi rispetto a quelli della singola impresa.

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