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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2015 alle ore 06:37.

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Finanza e reti di impresa per lo sviluppo del made in Italy alimentare. Sono le strade prioritarie da seguire per superare i vincoli dimensionali che attanagliano le imprese italiane dell’agroalimentare rafforzando la loro capacità di stare sui mercati e la competitività dell’intero settore.

È quanto è emerso ieri nel corso del 3° Forum Food & Made in Italy che si è tenuto a Milano presso la sede del Sole 24 Ore.

Sul fronte più strettamente finanziario la giornata di ieri ha registrato la quotazione in borsa al listino Aim di Masi Agricola. Un debutto che segue quello di fine gennaio, e sempre al listino Aim, di Italian Wine Brands. Due iniziative che testimoniano la differente attenzione del mondo alimentare, e del vino in particolare, nei confronti del mercato dei capitali. «Per noi la Borsa non è una novità – ha detto ieri Vincenzo Cremonini, ad del Gruppo Cremonini –. Noi siamo quotati da oltre 10 anni nel segmento Star e il nostro core business è la vendita ai ristoranti internazionali di prodotti alimentari italiani di eccellenza. Forse c'è una nuova attenzione del comparto alimentare nei confronti della Borsa, ma soprattutto perché è quest’ultima che rispetto al passato sta garantendo costi burocratici e indiretti più accessibili».

Che l’accesso al mercato azionario possa rappresentare una leva decisiva per la crescita dimensionale e il consolidamento è stato testimoniato dall’ad di Campari, Robert Kunze Concewitz. «Da quando ci siamo quotati – ha detto ieri – abbiamo effettuato ben 23 acquisizioni».

«Oggi c’è una diversa e maggiore consapevolezza – ha aggiunto il presidente e ad del fondo Clessidra, Claudio Sposito – nei confronti del private equity e della Borsa. Anzi l’apertura al private equity risulta spesso proprio la leva decisiva nel traghettare le aziende verso la quotazione in Borsa. Il punto chiave è che la crisi degli ultimi anni ha obbligato le imprese a investire per sopravvivere e per crescere in uno scenario più complicato. E da questo non sono state escluse le aziende del comparto agroalimentare».

Tutti convinti quindi che anche per il settore del food i tempi siano maturi per un differente atteggiamento nei confronti del mercato azionario e per quello dei capitali in genere. Ma la finanza non è l’unica leva da attivare per accompagnare la crescita delle imprese del food made in Italy.

L’altro elemento chiave può essere rappresentato dalle reti di impresa. Ovvero dalle aggregazioni tra aziende dello stesso comparto, costruite attorno a un obiettivo comune. «Siamo convinti che questo strumento – ha spiegato Aldo Bonomi, vicepresidente per le Reti d’Impresa di Confindustria – possa consentire di superare le frammentazioni tipiche del settore alimentare garantendo al tempo stesso agli imprenditori quell’autonomia e indipendenza che spesso finiscono per ostacolare un gioco di squadra».

I progetti di reti di impresa possono nascere attorno all’obiettivo comune di rafforzare la promozione all’estero e l’internazionalizzazione in genere delle imprese, ma anche i progetti di ricerca e sviluppo decisivi per garantire continuità alla capacità competitiva delle aziende. Tuttavia anche tali iniziative non possono fare a meno del supporto del mondo del credito. «Un sostegno tutt’altro che scontato – ha spiegato Gianandrea Bertello, responsabile marketing corporate Bnl di Bnp Paribas –. Anche perché le aziende che aderiscono al contratto di rete non possono, ad esempio, emettere obbligazioni. Ma per questo abbiamo messo a punto alcuni strumenti finanziari ad hoc che sono basati sul factoring che possono prevedere tanto la gestione del rischio quanto la sola cessione dei crediti».

Nel corso del forum “Food & Made in Italy” al Sole 24 Ore non sono mancate le esperienze concrete come quella di Fruttagel, che fa capo a Legacoop. «Abbiamo realizzato una rete di impresa – ha spiegato l’ad di Fruttagel, Stanislao Giuseppe Fabbrino – mettendo insieme 5 differenti realtà del mondo cooperativo attive nel settore ortofrutticolo dando vita a un soggetto da oltre 140 milioni di euro di fatturato. E questo ci ha consentito di definire una struttura dedicata all’export con anche l’assunzione di un export manager condiviso che sta garantendo una crescita internazionale per le aziende della rete che singolarmente semplicemente non avrebbero ottenuto».

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