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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2015 alle ore 06:37.

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Che qualcosa stesse cambiando, nell’industria italiana dell’arredo e del design, si era capito da tempo. La conferma arriva ora da nuovi dati sull’internazionalizzazione da un lato, e sulle operazioni societarie dall’altro, che fotografano un settore in fase di rapido “ammodernamento” e adeguamento alle sfide della globalizzazione. Come illustra una ricerca EY-Ernst&Young - presentata ieri durante un convegno sull’arredo e design a Milano - nel solo primo semestre di quest’anno le operazioni che hanno interessato il settore sono state 20 in tutto il mondo (contro le 32 dell’intero 2014), e nove di queste riguardano imprese italiane (contro le cinque del 2014).

La crisi degli ultimi anni ha del resto colpito duramente le imprese italiane del mobile che, dal 2009 al 2014, hanno perso il 34% del proprio valore sul mercato italiano, ridotto a 9,3 miliardi circa (dati FederlegnoArredo). Ma proprio questo ridimensionamento ha spinto le imprese più dinamiche del settore a quel cambio di passo che il mondo della moda aveva intrapreso già vent’anni fa e di cui anche nell’arredo, da un paio di anni circa, si cominciano a vedere i risultati.

Innanzitutto il forte impulso all’internazionalizzazione, che ha portato la quota di export nel 2014 al 64% della produzione, facendo dell’Italia uno dei principali Paesi esportatori di arredo nel mondo, con una quota del 30% a livello globale nel segmento di fascia alta. Il nostro Paese, testimoniano i dati di FederlegnoArredo, è secondo al mondo per surplus commerciale nel comparto, con 8,2 miliardi di euro, preceduto soltanto dalla Cina.

In secondo luogo – di fatto una conseguenza del punto precedente – l'accelerazione, a partire dal 2013, del fenomeno M&A (fusioni e acquisizioni) o dell’ingresso di investitori finanziari nelle aziende, con lo scopo di aumentare il capitale o la massa critica delle imprese, per rafforzarne la competitività all’estero.

Perché se è vero che l’Europa resta (con il 40% dell’export complessivo) il principale mercato dei prodotti made in Italy, come rileva una ricerca Pambianco – è anche vero che questo mercato non cresce da tempo e che dunque le opportunità vanno cercate sui mercati più dinamici, dove solo aziende solide dal punto di vista finanziario e distributivo possono affacciarsi.

L’attenzione è rivolta soprattutto agli Stati Uniti dove, ha sottolineato ieri il direttore generale di FederlegnoArredo Giovanni De Ponti, l’Italia è il primo esportatore nella fascia top di gamma, oltre che in Cina, dove il nostro Paese è al primo posto per export (cresciuto del 33% anche nel primo trimestre del 2015). Strategica per volumi e quota di esportazioni resta anche la Russia, nonostante il calo dell’ultimo anno.

Per cogliere in pieno le opportunità offerte dai mercati internazionali restano tuttavia da superare alcuni limiti che emergono soprattutto dall’analisi dei bilanci delle aziende: solide dal punto di vista della capitalizzazione, ma con una bassa redditività (il Mol è in media al 6,2%, ma scende al 4% per le aziende più piccole o quelle della fascia media) e forti limiti dimensionali. Limiti sottolineati da Roberto Bonacina di EY: «Le aziende italiane hanno dimensioni inferiori del 50% rispetto ai competitor internazionali – ha detto - e una redditività al di sotto delle potenzialità dei marchi che rappresentano».

Le operazioni societarie degli ultimi anni mirano proprio a superare questi limiti, per consolidare o rilanciare sui mercati esteri lo sviluppo dei soggetti coinvolti. Casi di M&A, con l’aggregazione di aziende e brand diversi (ad esempio, Boffi e dePadova) o la creazione di poli del design che raggruppino in sé diverse aziende (come Italian Creation Group o Italian Design Brands), con l’obiettivo di ampliare i portafogli-prodotto e integrare le piattaforme distributive. Oppure casi di ingresso di soci e capitali esterni nell’azionariato, spesso (nel 36% delle operazioni avvenute tra dal 2011 a oggi, dati EY) con l’apertura a investitori finanziari e fondi di private equity, come nel caso di Investindustrial, società di investimento che lo scorso anno ha rilevato la maggioranza di Flos e, poche settimane fa, quella di B&B Italia, due tra le principali e più note società di arredo-design made in Italy.

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