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Questo articolo è stato pubblicato il 21 luglio 2015 alle ore 06:36.

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TARANTO

Prima l’Ilva nel mirino, col sequestro senza facoltà d’uso dell’altoforno 2 dopo l’incidente mortale di giugno, poi i lavoratori all’opera sull’impianto (16 dell’Ilva e 3 di un’impresa dell’appalto, la Semat), e da ieri sera di nuovo l’azienda con la ribadita richiesta di spegnere l’altoforno. La Procura assedia l’Ilva e vuole che il sequestro non resti sulla carta. Il pm che ha ordinato il provvedimento e il gip che l’ha poi convalidato, ritengono infatti che l’altoforno 2 presenti una situazione di pericolo e quindi non può e non deve produrre ghisa. L’azienda, invece, replica affermando di aver attuato, già dopo l’incidente, le prescrizioni di sicurezza ordinate dallo Spesal dell’Asl, che lo stesso Spesal, nel suo sopralluogo, non ha ordinato il blocco dell’impianto e quindi non ha ravvisato pericolo, e che comunque ora c’è il decreto legge del 4 luglio che permette all’Ilva di continuare a produrre e a tenere in funzione l’altoforno. Ecco il punto del nuovo conflitto: il decreto legge. L’Ilva e i giuristi interpellati dicono che il decreto, in vigore già dal 5 luglio, «neutralizza» ogni altra azione giudiziaria sull’impianto, salva l’altoforno 2 dallo stop (sarebbe dovuto scattare il 6 luglio se non fosse sceso in campo il Governo) e nel momento in cui il gip si è appellato alla Consulta, sollevando l’incostituzionalità del decreto, tutto resta «congelato» in attesa che la Consulta si pronunci.

Di diverso avviso i magistrati. Avendo il gip sospeso il giudizio - l’azienda aveva infatti chiesto il dissequestro dell’impianto a valle del decreto - lo stesso non può decidere più nulla in attesa della Corte Costituzionale. Il sequestro, quindi, vale. Inoltre, si osserva, il decreto parla di continuità dell’attività dell’Ilva mentre il sequestro non la inibisce completamente. Non viene fermata tutta la produzione, dicono i giudici, ma solo un impianto e viene bloccato perchè pericoloso e perchè c’è stato un incidente mortale. Domani, intanto, vertice dei magistrati per decidere quale linea vale: il decreto o il sequestro? Intanto, convinto che nel siderurgico si stesse compiendo un abuso facendo produrre un impianto che doveva rimanere spento, venerdì scorso il pm ha spedito i Carabinieri all’altoforno. I militari hanno trovato 19 persone al lavoro, denunciate per violazione dei sigilli. Il blitz ha destato scalpore. I sindacati sono insorti ed è sembrato, a quel punto, che l’Ilva potesse davvero fermarsi. «Non è possibile – avevano commentato i sindacati – che i lavoratori debbano essere indagati solo perchè hanno obbedito agli ordini dell’azienda». Nelle ore successive al blitz dei Carabinieri, un vertice in Prefettura e una nota della Procura cercavano di raffreddare la tensione. Solo attività preliminari in vista di eventuali, successive indagini, precisava la Procura. Che in ogni caso non avrebbero riguardato direttamente i lavoratori ma chi li aveva autorizzati a lavorare sull’impianto.

Ieri la tregua apparente si è di nuovo rotta. L’Ilva ripiomba nel caos. Giusto come tre anni fa.

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