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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2015 alle ore 06:38.

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Marciano a due velocità i porti italiani, per quanto riguarda il traffico container: da una parte gli scali di destinazione finale, che segnano una crescita, in alcuni casi decisa; dall’altra i porti di transhipment che perdono terreno con casi eclatanti come Taranto, con il terminal chiuso e i gestori hanno deciso di metterlo in liquidazione.

A dare un quadro efficace della situazione sono i numeri (provvisori) dei primi sei mesi di attività degli scali italiani. Tenendo conto che l’elaborazione messa a punto sconta alcuni dati mancanti (è il caso di quelli di Salerno e di altri riferiti a un periodo più breve del semestre), sono tuttavia rappresentati i risultati dei più importanti scali italiani tra gennaio e giugno 2015.

Sul fronte dei container, conteggiando anche quelli di trasbordo, la crescita dei porti italiani si attesta a zero. Le rinfuse solide mostrano, invece, un segno negativo e totalizzano -4,8%. Le rinfuse liquide sono a +10,4% e il traffico ro-ro (rotabili) è a +6,9%. E sui numeri dei container va fatta un’ulteriore riflessione. Scorporando, infatti, dal conteggio i porti di transhipment, col -100% di Taranto, il -13,2% di Gioia Tauro e il +1% del terminal di transhipment Cict di Cagliari (contando anche il traffico di destinazione finale lo scalo sarebbe a -0,4%), la statistica cambia. I porti gateway italiani, infatti, tolto il trasbordo, segnano una crescita del 9,7% nel semestre. In particolare, Genova segna la miglior performance della sua storia, raggiungendo 1,13 milioni di teu (container da 20 piedi) e +6,9% rispetto allo stesso periodo del 2014. La Spezia sale del 4,1% (da 639mila a 665mila teu); Livorno cresce del 39,5% (da 276mila a 385mila teu). Civitavecchia segna una flessione (-2,2%) sui container (ma su volumi molto contenuti: 33mila teu). Da segnalare anche la performance di Napoli che, nonostante la crisi in cui versa e lo spostamento di parte del traffico a Salerno, ha totalizzato +10,9% (passando da 209mila a 232mila teu). Sul versante Adriatico, Ravenna segna +12% (con 116mila teu). Trieste perde il 9,6%, scendendo da 237mila teu del 2014 a 215mila. Mentre Venezia sale del 21,2% passando da 224mila teu del primo semestre dell’anno scorso a 272mila.

«La discesa dei porti di transhipment – dice Marco Simonetti, vicepresidente di Contship Italia (società terminalista a Gioia Tauro, Cagliari, La Spezia, Ravenna e Salerno) – continuerà finché non si riuscirà a rendere gli scali italiani di trasbordo competitivi. Diversa, invece, la situazione dei porti gateway: quelli del Tirreno, in particolare, sono in grande crescita. Soprattutto quanti hanno linee su America e Far East. Mentre quelli che operano sul Nord Africa sono in difficoltà. Soffrono di più, invece, gli scali adriatrici. Un segno positivo, comunque, è che, per tutti l’export sia in grande crescita e anche l’import abbia tenuto». Riguardo al transhipment, Simonetti afferma che, per sostenerlo, «ci vogliono zone economiche speciali vicino alle banchine, l’annullamento delle tasse di ancoraggio, che oggi si possono solo abbattere, e poi la detassazione delle accise sui carburanti per i mezzi portuali (come gru e carrelli, ndr), consentita dalla Ue e che gli altri Stati già applicano. Oggi su mille litri di carburante Gioia Tauro paga 5 volte di più della Germania. Per tutti i porti, la legge di riforma che è allo studio deve dare certezza di tempi e regole per tutto: dragaggi, concessioni e applicazioni delle leggi». Da parte sua, il presidente di Assoporti, Pasqualino Monti, ricorda «che la crescita dei porti non si può misurare solo con i container, che rappresentano solo il 40% dei traffici merci. In generale, per i porti italiani il primo semestre 2015 è stato positivo. Ma potrebbe andare meglio se fosse introdotta la riforma che il Governo ha messo a punto; che ci auguriamo preveda l’autodeterminazione delle tariffe da parte delle port Authority, all’interno di una programmazione delle infrastrutture decisa dal Governo».

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