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Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2015 alle ore 06:37.

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Nato in aprile con l’obiettivo di appianare i contrasti del passato tra coltivatori e industriali trasformatori, il Distretto del Centro Sud rischia di rompersi già alla prima campagna di raccolta.

A dare fuoco alle polveri dopo una riunione il 10 agosto scorso sono i rappresentanti dei coltivatori, che addebitano ai trasformatori di aver violato le norme contrattuali a poche settimane dalla loro definizione. E con un gesto forte, hanno annunciato che sette delle principali Organizzazioni dei produttori - in rappresentanza del 40% del pomodoro prodotti al Sud - lasceranno il Distretto.

Più cauti gli industriali, che non condividono e non comprendono questa dura presa di posizione. «Anzi - spiega Antonio Ferraioli, presidente di Anicav (l’associazione degli industriali conservieri del Sud) - proprio alla luce del fatto che il Distretto, tra le altre motivazioni, è nato per essere una camera di compensazione, un tavolo di confronto continuo per affrontare i problemi e trovare soluzioni. Per questo non è comprensibile che prima ancora di proporre, la componente agricola vada via. C’è bisogno - aggiunge - che ognuno faccia la sua parte, superando la logica delle accuse generiche». Anicav, per voce del direttore Giovanni De Angelis, spiega che se disfunzioni ci sono state, queste sono già oggetto di verifica e di sanatoria. «Ora - aggiunge - aspettiamo le proposte degli agricoltori per migliorare l’operatività del Distretto. Ma respingiamo le accuse generiche che ci sono state rivolte».

A fare la voce grossa per gli agricoltori è Giorgio Mercuri, presidente di Fedagri, la federazione di Confcooperative che raggruppa le attività agricole e agroindustriali. «La situazione - spiega - è davvero incresciosa. Nell’ambito del distretto sono state concordate e accettate da tutti regole contrattuali e regole per la gestione delle fasi di raccolta. Ora abbiamo centinaia di aziende agricole con il pomodoro maturo in campo e con l’industria che non manda i camion per la raccolta. Inoltre la componente industriale non ha rispettato l’intesa in base alla quale, a 48 ore dalla consegna, doveva comunicare all’aziedna agricola i dati di callsificazione del pomodoro. Aspetto fondamentale per stabilire il prezzo. Così abbiamo le aziende che non sanno quanto ricaveranno dal loro pomodor. E questo - aggiunge Mercuri - rischia di innescare pericolose speculazioni a danno dei coltivatori».

A complicare la situazione - spiega il presidente di Anicav, è stato l’anomali andamento del tempo, con il forte caldo delle settimane scorse. La coltivazione del promodoro da industria al Sud, segue una programmazione che vede cominciare la raccolta nell’area del Casertano, seguita dal Foggiano, quindi dalla basilicata e dalle altre regioni del Distretto. Complice il caldo, la raccolta scalare è saltata, «costringendo l’industria - dice Ferraioli- a lavorare il 100% di prodotto in più rispetto alla campagna scorsa. Con questi numeri è quanto meno difficile sostenere la tesi secondo cui le industrie avrebbero dimezzato il numero dei camion per il ritiro del pomdoro in campagna».

Tesi sostenuta e condivisa anche da Annibale Pancrazio, presidente del Distretto Centro Sud del pomodoro da industria, che non chiude la porta alla componente agricola. «I dati del prodotto lavorato - spiega - confermano che le industrie stanno facendo la loro parte, con gli impianti a pieno regime. Ora c’è bisogno di dimostrare capacità di coesione e grande senso di responsabilità».

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