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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2015 alle ore 06:37.

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La recente approvazione di alcune specifiche riforme mirate a incentivare lo sviluppo dell'economia e favorire l'ingresso dei capitali esteri in India offre l'opportunità di effettuare un excursus sulle principali misure di politica economica e fiscale recentemente introdotte nella legislazione indiana.

Nel corso del 2014, l'economia indiana è stata fortemente influenzata dalla riduzione globale del costo delle materie prime (principalmente petrolio e generi alimentari) che ha inciso sull'incremento del tasso di crescita del PIL (pari al 5,9% e stimato per il 2015 tra l'8,1 e l'8,5%), nonché sull'abbattimento del tasso d'inflazione (giunto al di sotto del limite del 6% previsto dalla Banca Centrale Indiana) e sul deficit finanziario (ora pari al 4,1% del PIL), secondo quanto stimato dal Ministry of Statistics and Programme implementation. Cionondimeno, l'economia è stata sino ad oggi permeata da una tendenziale chiusura nei confronti degli investimenti esteri, tale – tra l'altro – da far inserire l'India al 142° posto su 189 nel ranking dei Paesi dove è più facile fare business (World Bank Report 2015).

In tale considerazione e al fine di incrementare il tasso di crescita del PIL al di sopra del 10%, sviluppare il settore manifatturiero nazionale incrementandone l'incidenza sul PIL dal 16 al 25% e scalare, nei prossimi due anni, 50 posizioni nel ranking delle nazioni in cui è più facile fare business, il Governo indiano ha avviato un complesso processo di liberalizzazioni e riforme fiscali.

Le misure di liberalizzazione già adottate hanno consentito l'ingresso di investitori privati esteri in settori come quello del retail multi-marca (settembre 2012) e delle costruzioni (dicembre 2014). Prima di tali interventi, difatti, le catene della grande distribuzione organizzata non potevano accedere direttamente al mercato indiano e potevano operarvi solo mediante joint ventures o con la formula business-to-business; ora – a determinate condizioni – possono operare investimenti diretti fino a un massimo del 51%.

Nel settore delle costruzioni, per alcuni versi, l'apertura è stata ancora maggiore, dato che è stata riconosciuta agli operatori stranieri la possibilità di effettuare investimenti diretti pari al 100%, così da consentire lo sviluppo delle politiche abitative e delle c.d. “smart cities”.

Più di recente, nell'ambito del progetto “Make in India”, sono state previste ulteriori liberalizzazioni in settori strategici quali la difesa e le ferrovie: con la pubblicazione della “Consolidated Policy circular of 2015” del 12 maggio 2015 è stato consentito, infatti, di effettuare investimenti esteri diretti nel settore della difesa “tradizionale” fino al 49% (prima 26%) e addirittura del 100% nel settore dell'alta tecnologia per la difesa e delle infrastrutture ferroviarie. Sono consentiti investimenti diretti fino al 100% anche nel settore farmaceutico e dei dispositivi medici, mentre permane il limite del 49% nel settore assicurativo. Con detto progetto è stata anche prevista l'estensione a 3 anni della validità delle licenze industriali necessarie per operare in India e il riconoscimento legale delle auto-certificazioni per i business non rischiosi.

Il 16 luglio 2015, infine, il Consiglio dei Ministri ha approvato il c.d. “Composite caps” tramite il quale – in accordo con l'autorità di vigilanza per la borsa indiana (SEBI) – è stata innalzata dal 24 al 49% la possibilità di effettuare investimenti esteri “combinati” (sia investimenti diretti che quelli effettuati da investitori istituzionali esteri, foreign portfolio investor, etc.) in società finanziarie (quali banche, banche depositarie, società di servizio titoli, clearing corporation, etc.).

Come detto, tali misure sono state affiancate anche da una serie di novità di natura fiscale.

La budget law del 2015 ha previsto che, entro i prossimi quattro anni, l'aliquota di tassazione sul reddito d'impresa passi dal 30 al 25% e che la c.d. “minimum alternate tax - MAT” (con aliquota del 18,5%) non troverà più applicazione nei confronti delle cessioni di titoli effettuate da investitori istituzionali esteri.

Si ricorda, inoltre, che la normativa fiscale vigente considera tassabili le cessioni “indirette” di società indiane, cioè partecipazioni il cui valore è “sostanzialmente” riconducibile ad assets ubicati in India (vd. il noto caso Vodafone). In tale ambito, la budget law del 2015 specifica ora quando una plusvalenza può essere considerata “sostanzialmente” riconducibile ad assets indiani e, nel contempo, introduce ipotesi di disapplicazione automatica della normativa.

A partire dal 1° aprile 2015 è, inoltre, entrata in vigore la riduzione dal 25 al 10% dell'aliquota della ritenuta domestica applicabile sulle royalties e sui compensi per servizi di assistenza tecnica corrisposti a soggetti non residenti da entità indiane (aspetto che assume particolare rilevanza per gli investitori italiani, considerato che l'aliquota prevista dalla convenzione contro le doppie imposizioni Italia-India è pari al 20%). Viene anche previsto il riconoscimento tax incentives maggiorati (15%) per gli investimenti effettuati nelle aree svantaggiate a partire dal 1° aprile 2015 fino al 31 marzo 2020 sia in macchinari nuovi che in attività di R&D.

Infine, il Governo ha rinviato l'introduzione di una specifica clausola antiabuso di valenza generale alla chiusura dei lavori sul BEPS.

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