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Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2015 alle ore 06:37.

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NAPOLI

Il Sud ha pagato più di altre aree del Paese l’assenza di una politica industriale, oggi è necessario sostenere la ripresa dell’economia fuori e dentro la fabbrica. Prende le mosse da queste premesse lo studio «Per l’industrializzazione del Mezzogiorno», curato dal Cerpem di Bari e coordinato dall’economista Gianfranco Viesti, su commissione della Fondazione Mezzogiorno Tirrenico, promossa dalle cinque Associazioni industriali della Campania, da Unione regionale delle Camere di Commercio della Campania, Monte dei Paschi di Siena, Banca Opi (Intesa Sanpaolo). L’analisi vuole offrire un proprio contributo al dibattito sul Mezzogiorno, su cui il governo si appresta a intervenire con un proprio masterplan.

Una crisi gravissima: tra il 2007 e il 2013 il valore aggiunto dell’industria meridionale si è ridotto di quasi 30 punti percentuali, circa il doppio di quanto avvenuto nel Nord Italia. Mentre le agevolazioni alle imprese sono calate del 76%, a fronte di una diminuzione del 17% registrata nel Centro-Nord. Ma le due aree sono fortemente connesse. Tanto che «il Sud continua a rappresentare - precisa Viesti - un importante mercato di sbocco per la produzione nazionale, accogliendo il 26,5% della produzione del Centro Nord. Inoltre 100 euro di investimenti al Sud attivano produzione per 40 euro nel Centro-Nord».

Cosa manca per intervenire? Viesti ricorda che negli anni 60-70 il Mezzogiorno ha conosciuto «uno straordinario processo di sviluppo industriale grazie al forte consenso fra le elite politiche ed economiche italiane. Oggi, precisa l’economista, non vi è consenso politico».

Ma esiste, come evidenzia la ricerca, un tessuto industriale che, sebbene falcidiato dalla crisi, presenta numerosi punti di forza, si sono compiuti passi in avanti sulla qualità delle risorse umane e, infine, il Mezzogiorno ha conquistato una posizione strategica in seguito allo sviluppo dei traffici marittimi tra Nord America e Asia.

Per puntare sulla crescita industriale dell’area, però, bisogna agire, sul contesto e sulla fabbrica, attivando alcune leve: attrazione di nuove attività industriali; definizione di una specifica mission meridionale della Cassa Depositi e Prestiti (Banca per lo Sviluppo); sostegni a ricerca e sviluppo, ad esempio incrementando il bonus per il Sud.

Il presidente dell’Unione Industriali di Napoli, Ambrogio Prezioso precisa: « La crescita non avviene meccanicamente, solo grazie a incentivi finanziari. Occorre un disegno unitario, ad esempio nei processi di rigenerazione urbana».

L’Italia, può fare di più: secondo lo studio, che ha analizzato esperienze europee come i Poles de Competitivité in Francia, i Catapult Centres nel Regno Unito, gli Istituti Fraunhofer tedeschi, l’Italia è il Paese europeo che fa meno politica industriale. Meno di Inghilterra e Germania. E per politiche per l’innovazione è fanalino di coda in Europa.

«Il Sud soffre di carenze fin troppo note – osserva il presidente di Confindustria Campania, Costanzo Jannotti Pecci – come aree industriali adeguate e tempi normali nella gestione dei contratti di programma».

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