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La donna che porta il made in Italy in Corea del Nord

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La donna che porta il made in Italy in Corea del Nord

(Afp)
(Afp)

Non si può in alcun modo aggirare l’embargo internazionale, «che riguarda soprattutto una lunga lista di beni di lusso», ma la Corea del Nord è ancora un mercato aperto, «sempre che la situazione internazionale non precipiti improvvisamente». Laura Galassi guida Segesam, società di consulenza focalizzata all’export e con un rapporto lungo e solido con Pyongyang.

Dal primo viaggio, datato 2000, all’ultimo, di qualche mese fa, molte cose sono cambiate,a cominciare dallo scenario internazionale, ma non il modello di approccio a quel mercato: «Ancora oggi si va avanti per priorità», ma questi diciassette anni sono diventati un patrimonio di informazioni e di rapporti a disposizione delle aziende. «Gli imprenditori, marchigiani e non, che vogliono esportare in Corea del Nord sono più di quanto si possa immaginare – spiega la manager, che ha un passato universitario negli Usa dove ha vinto un titolo Ncaa nella scherma –: a tutti loro spiego pregi e difetti di quel mercato, dove le poche merci che entrano sono controllate con estremo rigore».

Laura Galassi, presidente della società Segesam

Galassi ha iniziato a operare in quel Paese come imprenditrice, in pieno accordo con il governo, e la prima iniziativa fu la realizzazione di un impianto per il recupero di pneumatici usati, «importati dal Giappone, con il quale Pyongyang aveva ottimi rapporti diplomatici ed economici»: lo stabilimento li riduceva in polvere, poi utilizzata per realizzarli ex novo. Il 2003, poi, fu l’anno dell’agroalimentare: «I cittadini avevano bisogno di carne di pollo e di maiale – spiega – la cui produzione ci consigliò di importare attrezzature da aziende specializzate di Veneto, Lombardia e Emilia Romagna». Tre anni dopo, un ingresso storico: Galassi fece acquistare per la prima volta ai coreani il vino italiano, «fu come aver contribuito a una piccola rivoluzione a tavola».

L’ultima iniziativa imprenditoriale diretta è la nascita di una pizzeria, a Pyongyang, disegnata da architetti coreani, «che avevano studiato in Italia», affidata a un pizzaiolo del posto, «che però usa materie prime esclusivamente italiane». E negli anni, quel locale si è arricchito di uno show room del made in Italy, «dove espongono diverse aziende delle Marche, specie della moda e della calzatura».

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