Per il diesel si avvicina un funerale. Ed è in gran parte di Stato. Partiamo dal dato numerico: ieri l’Acea, l’associazione europea dei costruttori di automobili, evidenzia che, per la prima volta dal 2009, nell’unione europea a 15 le auto a benzina hanno “sorpassato” quelle turbodiesel. Infatti, la quota di mercato delle autovetture alimentate a gasolio, nel totale del primo semestre dell’anno è scesa al 46,3% dal 50,2 della prima metà del 2016. In pratica sono state vendute oltre 150mila auto diesel in meno, poiché il conto finale riporta 3,491 milioni di auto contro i 3,64 dello scorso anno. Nello stesso periodo le autovetture a benzina segnano un rialzo di quasi 330mila unità e vanno verso quota 3,4 milioni di vetture vendute.
In questa dinamica pesa un combinato disposto di fattori che partono dal dieselgate Volkswagen di due anni fa, si concentrano in normative sulle emissioni sempre più onerose da rispettare soprattutto per i motori di piccola cubatura e si catalizzano in una sorta di fattore panico da «il diesel è morto» che ha indirizzato le scelte dei acquirenti sulla scia di annunci a «effetto wow» di governi (quello francese e Inglese) e di municipalità grandi come Londra e Parigi che vogliono mettere al bando, con motivazioni più ideologiche che tecniche a dire il vero, i motori a gasolio (e in prospettiva tutti quelli a combustione interna) entro il 2040. E poco importa che l’orizzonte temporale sia proiettato così tanto in avanti da rendere difficilmente credibile l’annuncio, poiché l’effetto annuncio, le minacce di inasprimento fiscale per le vetture, dell’aumento ex lege del prezzo alla pompa, amplificate da una campagna mediatica hanno penalizzato le vendite delle auto diesel, anche perché gli acquirenti, spaventati, hanno iniziato a temere un crollo del valore residuo e della rivendibilità futura.
A penalizzare le vendite ci sono anche fattori di mercato: il 2017 ha visto un rialzo delle vendite nell’area europea (+4,5 % nel combinato dei primi otto mesi del 2017) ed è soprattutto il rialzo delle vendite a privati di vetture di piccola cilindrata che contribuisce a innalzare le vendite delle auto a benzina, perché nei segmenti inferiori, quelli preferiti dalle famiglie, si è anche ridotta l’offerta delle case a causa degli alti costi dei sistemi di trattamento allo scarico necessari per rispettare le normative più recenti.
Questo cambiamento in atto nel mercato europeo dell’auto avviene al di là degli effettivi demeriti ambientali del diesel, che è un motore virtuoso quanto a rendimento, e dunque grazie a consumi più bassi di un pari cilindrata a benzina produce minori emissioni specifiche di CO2, ma più critico per le emissioni di ossido di azoto (NOX) cioè quelle al centro dello scandalo dieselgate e di polveri sottili.
Ed è proprio sulla questione della CO2 che si concentra l’allarme dell’Acea. I costruttori ritengono, infatti, che un repentino shift di alimentazione renderà più difficile il raggiungimento degli obiettivi ambientali. a metà settembre l’Acea ha chiesto di rinviare dal 2021 al 2030 il taglio del 20% delle emissioni di CO2, previsto per la lotta ai cambiamenti climatici.
Del resto le alimentazioni alternative stanno crescendo ma non a un tasso tale da compensare il declino repentino del diesel. Tuttavia i numeri che fanno intravedere un futuro più green per l’auto sono incoraggianti. Sempre secondo l’Acea sono state vendute nel primo semestre oltre 100mila vetture con motorizzazioni alternative per un dotale di quasi 400mila unità che pesano però per il 5,5% del mercato e qui l’ibrido ha un ruolo dominate con oltre 73mila vetture, mentre l’elettrico (comprese le ibride ricaricabili) sono confinate al’1,3 del mercato. E in Italia? Nel nostro Paese l’ondata anti-diesel non è arrivata e la quota del gasolio rimane invariata intorno al 57 per cento.
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