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L'uniforme di Prada ed Emporio Armani, l'artista di Gucci e Bottega…

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Milano/Giorni 2-3

L'uniforme di Prada ed Emporio Armani, l'artista di Gucci e Bottega Veneta

Il fascino della divisa, l'abito uguale per tutti, pragmatico e solo in apparenza spersonalizzante - quando nulla distrae, in realtà, la personalità del singolo emerge, non adulterata - è imperituro. L'immaginario delle moda vi attinge spesso, seguendo pulsioni opposte, ora di ortodossia ora di rifiuto nichilista. Una bella mostra organizzata a Firenze ormai quindici anni fa riassumeva questo dialogo con il titolo “Uniforme - Ordine e Disordine”. In questi giorni, sulle passerelle di Milano moda uomo, sono esattamente ordine e disordine a confrontarsi, senza frizioni belligeranti.

Da un lato si glorifica la figura anarcoide dell'artista, tutto sentimenti e istinto, umori balzani e sprezzo delle convenzioni. Dall'altro, dopo anni di frivolezze mascoline esplorate in lungo e in largo, emerge il desiderio purificante dell'abito neutro, senza decori, orpelli, bizantinismi, nel quale utile e bello coincidono. «Dobbiamo ricomporre le fila, perché quando tutto è concesso, scadere nella confusione è facile» dice Giorgio Armani, che guida il plotone dei severi con la collezione Emporio Armani - tesa, muscolare e convincente come non accadeva da tempo.

Severa non è l'aggetivo giusto per definire una prova che piuttosto è asciutta e penetrante, pensata per giovani uomini sensuali e consapevoli, vestiti di jersey e di maglia, i pantaloni come quelli della tuta, le giacche abbreviate che enfatizzano il busto e accompagnano i movimenti, i cappotti ampi. King George ritrova mordente e dimostra come, in tema di essenzialità scattante, abbia ancora molto da insegnare.

Da Emporio è il blu a prevalere, olimpico e rasserenante, mentre da Prada domina il nero, veicolato dal nylon per una estetica industriale non dissimile da quella che fu del marchio negli anni Novanta. Tutto è orgogliosamente fatto a macchina, replicabile e consapevolmente ripetuto - fino allo sfinimento. Persino i modelli e le modelle sembrano cloni, privi di ogni apparente umanità. Perché la signora mette insieme uomini e donne, non per amor di confusione, ma per il gusto secco dell'azzeramento, del ritorno a ciò che davvero conta.

All'estremo opposto, regole e protocolli si infrangono, con irruenza libertaria. Da Gucci, c'è romantica ambiguità nell'aria: bluse con grandi fiocchi, giacchette psichedeliche, loden dalle spalle insellate e l'iconico mocassino ridotto a ciabattina sono l'armamentario decadente di giovinetti esangui e imberbi, per nulla virili ma molto cool, che segnano un deciso cambiamento di rotta per il marchio fiorentino. Certo, la collezione, messa insieme in una sola settimana dal team stilistico guidato da Alessandro Michele - tutti in passerella a fine show - è per certi versi abbozzata, ma quel che conta è l'intenzione: riportare Gucci a far moda, non repliche dell'archivio. L'inizio convince.

L'artista di Bottega Veneta si veste come capita, facendo di necessità virtù, mescolando i pantaloni della tuta al cappotto sartoriale, lasciando incurante le macchie di pittura sulla camicia, anche sotto il gessato. Però è sofisticato e inarrivabile, con quel tanto di nonchalance degagé da vero snob puro e duro. Anche l'uomo di Etro è un artista: dipinge pragmatiche field jacket, contraddicendone il rigore e privandole degli echi militari per renderle espressione di pura libertà. Persino da Canali l'aplomb di un tempo si smorza - non sparisce, sia chiaro - in favore di una nuova rilassatezza, fatta di ampi cappotti double in colori off e grafismi ritmici su silhouette moderniste. Il punk in giacchetta di Diesel Black Gold, invece, accumula spille da balia e porta skinny jeans laceri, ma apprezza la robustezza senza tempo dell'English style più tradizionale.

L'opposizione tra uniforme e sua negazione può altrimenti tradursi nella dicotomia tra metropoli e spazi aperti. I cadetti ipermascolini di Calvin Klein marciano nella giungla d'asfalto, pur indossando robuste pedule montane, non diversamente dal taxi driver di Antonio Marras, vestito di parka polimaterici e raffinarezze da dandy. L'uomo di Salvatore Ferragamo si avventura di notte nei boschi, lirico e affabulante, vestito di strati organici e preziosi, tra i quali si nascondono surreali figure d'animali in forma di ricamo. La montagna, in fine, è lo scenario ideale per il guardaroba di maglia di N°21 e i piumini color cammello di Moncler Gamme Bleu.

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