Moda24

Parigi chiude la fashion week uomo con i cadetti di Lanvin, il militarismo…

  • Abbonati
  • Accedi
SFILATE

Parigi chiude la fashion week uomo con i cadetti di Lanvin, il militarismo di Kenzo e l'eleganza soft di Cerruti 1881

Rigore o mollezza? Essere o apparire? L'ascesa dell'uomo femmineo e dannatamente, compiaciutamente frivolo, ultima tappa di un percorso fiammeggiante iniziato da almeno un lustro, pone domande impellenti e aut aut ineludibii, perchè non tutti hanno intenzione di allinearsi. C'è anzi chi a cotanto libertinismo estetico oppone - grazie al cielo - una severità purificante e bacchetona, fatta di allure marziale e atteggiamenti fermi, senza ombra di machismo - opzione a questo punto parodistica. Escludendo i piagnoni da funerale vittoriano di Thom Browne, tutti veli, volant e falpalà, sono i cadetti di Lanvin a guidare la schiera degli anti-frivoli: neri, plumbei, in marcia accelerata, di una eleganza assoluta ma pragmatica. Inversione di marcia degna di nota, se si considera che il marchio è stato uno tra i primi a trascinare la moda verso i lidi estenuati del genderless. “Il percorso, questa stagione, nasce da una riflessione: è più importante la funzione degli abiti o il loro aspetto? Ci si veste per coprirsi o mostrarsi? - spiega Lucas Ossendrjiver, che della linea uomo di Lanvin è co-autore insieme ad Alber Elbaz -. La risposta che ci siamo dati è duale, perchè schierarsi da un lato o dall'altro sarebbe anacronistico. La collezione, con l'inizio in uniforme e la conclusione in nero futurista, vive di questa opposizione, conciliando forze contrarie”.

Il teorema è convincente, non ultimo perchè la apparente severità è continuamente rotta, incessantemente frastagoiata da quel che rimane della delicatezza di un tempo: un lampo metallico che occhieggia sotto il blazer oversize, la pelle che si mostra sotto un trench dall'appiombo inesorabile, la cintura sottilissima che cinge la vita ascellare dei pantaloni. Finalmente, una proposta davvero progressiva, con un senso di possibile anche oltre gli angusti confini delle passerelle e dei redazionali patinati. Da Acne Studios si invoca la gender equality a suon di classico inglese rivisto nelle proporzioni e perversamente mescolato con pezzi pseudo-tecnici da running. Ibrido balzano quanto tempista, visto che nelle metropoli davvero ci si veste cosí. Il militarismo giovanilista di Kenzo, fatto di grandi volumi e patch-slogan, avrà indubbiamente un grosso appeal commerciale - il linguaggio è sempre diretto e comprensibile - ma il debito creativo verso Raf Simons è onestamente troppo chiaro. Maggiore sottigliezza, in questi casi, aiuterebbe.

Da Dior Homme, Kris Van Assche spariglia le carte ibridando la formalità del black tie con l'utilità del workwear e del denim, e riesce a trovare una sigla, finalmente, convincente. Certo, il registro espressivo è algido, industriale come da copione per lo stilista belga, ma a questo giro si avverte, se non altro, un fremito, una sedizione: la stessa che sta nel cortocircuito di un parka con un frac, ad esempio. L'iconografia dell'uomo che fa con le mani, che si da di verso, invece di mettersi in posa, emerge nel mentre come antidoto alla calata degli unni femminielli. La tuta da lavoro, in un blu pragmatico ma aristocratico, arriva così persino sulla passerella di Hermès, mescolata senza sforzo a capi come sempre lussuosi e impeccabili, preziosi in maniera discreta e senza tempo.

Da Cerruti 1881 Paris, Aldo Maria Camillo continua un inesorabile quanto felice percorso di riscrittura e attualizzazione dell'estetica marchio, tempio da sempre di eleganza soft e classe naturale. Questa stagione, ispirato dalla figura sciamanica e operaia di Joseph Beuys, innesta bellezza e funzione in una idea di guardaroba sottotono: un codice fatto per mettere al centro la persona e i suoi gesti, non gli abiti che indossa. Umit Benan celebra la mascolinità fiera e i colori sgragiuli dei pescatori del suo Bosforo, mentre militarismi dichiarati danno a Y-3, l'esperimento fashion/performance di Adidas e Yohji Yamamoto, un aspetto più duro e avventuroso del solito.

Oppure, a conclusione di tutto, è la schitarrata in nero totale di Saint-Laurent, omaggio allo chic parigino nella versione più ambigua, tagliente, perforante. Hedi Slimane si conferma creatore di immaginari magnetici, e non importa che le fonti siano chiare e la rielaborazione minima. Il risultato è potente. L'omaggio alla rive Gauche esistenzialista per via dell'alt rock di Les Halles negli anni Settanta è il colpo finale e magistrale che riassume il senso della stagione: severità del non colore, effeminatezza assoluta e compiaciuta, uniti in un gesto risoluto e potente.

© Riproduzione riservata