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Orologi, l’espansione del settore legata a nuovi lanci e smartwatch

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STUDIO DELOITTE

Orologi, l’espansione del settore legata a nuovi lanci e smartwatch

Di certo c’è solo che sul mercato si aggirano talmente tanti e complessi fattori - dal rafforzamento del franco svizzero al rallentamento dei consumi di lusso in Cina, fino alla scarsità di nuova manodopera specializzata - da rendere azzardata qualsiasi previsione: tuttavia, nell’industria svizzera degli orologi permane un certo ottimismo, come ha rilevato la terza edizione del report “Swiss Watch Industry Study” di Deloitte, che ha raccolto le opinioni e le intenzioni di una cinquantina di executive del settore. Il 42% di essi hanno infatti dichiarato di avere buone prospettive per i prossimi dodici mesi, ma la percentuale è al minimo rispetto al 65% del 2013 e al 49% del 2012: «Le sfide sono importanti, e le vinceranno le aziende capaci di lanciare prodotti innovativi sulla scia della propria tradizione, poiché gli orologi che non conoscono crisi restano i classici», commenta Patrizia Arienti, Fashion & Luxury leader per Italia ed Emea e partner di Deloitte.

Per il 96% degli intervistati, infatti, il lancio di nuovi prodotti sarà la principale fonte di business nel prossimo anno. E per il 44%, gli smartwatch sono la più grande novità con cui rapportarsi: «Sta nascendo un segmento parallelo, più che uno che rischia di cannibalizzare gli altri - prosegue Arienti -. E di certo il segmento hi-end non ne sarà toccato. Al collezionista gli smartwatch non interessano, potrà acquistrali per curiosità, ma certo non per sostituire i classici». Se il cronografo di acciaio, classico, appunto, e con costo superiore ai 5mila franchi svizzeri, è giudicato come la tipologià più di successo nel prossimo anno, a essere più minacciati dagli smartwatch saranno invece gli orologi nella fascia dei 200 franchi svizzeri, perlopiù al quarzo.

Sul fronte dei mercati, la rallentata crescita in Cina preoccupa il 13% degli intervistati, che guardano con interesse a India e Indonesia, ma anche Sudamerica e Africa, da raggiungere con una rete di monomarca più che con il wholesale. Tuttavia, la maggior parte degli intervistati dichiara che aprirà nuovi store nei mercati tradizionali, l’85% in Asia, il 55% in Europa e il 30% in Nord America: «L’aumento degli investimenti nella gestione diretta è in linea con quello che sta accadendo nel fashion/luxury - continua Arienti -. C’è sempre più interesse anche per il web, anche perché il cliente si informa molto online prima di acquistare nel negozio fisico, dove si reca per vedere, toccare, esaminare i dettagli del “suo” orologio». Il mondo online e social è sempre più oggetto di attenzione (i social network sono ritenuti il canale privilegiato per il marketing, più della stampa), è ancora la dimensione “brick-and-mortar” la più importante.

Tuttavia, trovare personale qualificato, sia per le boutique che per le manifatture, non è semplice: per farvi fronte si acquistano sempre più spesso manifatture che possano produrre componenti in esclusiva per il proprio brand, ma solo chi ha grandi risorse finanziarie se lo può permettere: «Formazione in-house, investimenti nel retail, espansione sui mercati internazionali sono appannaggio di chi appartiene a grandi gruppi. Gli altri sono in grande difficoltà, e già da anni», conclude. Anche per questo gli executives si aspettano sempre più integrazione fra i marchi, sia verticale (con l’inclusione dei fornitori) che orizzontale, con m&a da parte dei grandi gruppi del lusso, ma ancor di più da fondi di private equity (attesa dal 36% degli intervistati a fronte del 13% del 2013).

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