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CP Company compie 40 anni, dall'estero arriva l'80% del…

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Sportswear

CP Company compie 40 anni, dall'estero arriva l'80% del fatturato

«Sono sempre stato innamorato di C.P. Company, arrivo a definirlo il più bel marchio della storia italiana dello sportswear d'autore, ma nemmeno io avevo capito quanto fosse conosciuto all'estero e sta proprio in questo la sua maggiore potenzialità di sviluppo». Enzo Fusco, fondatore del gruppo Fgf Industry, introduce così l'anniversario di C.P. Company, brand acquisito nel 2010 dalla Sportswear Company di Carlo Rivetti e che nel 2015 compie 40 anni. «L'export assorbe l'80% del fatturato e il mercato più importante è il Regno Unito, ma nello scorso anno siamo andati molto bene anche in Corea e Giappone e in tutta l'Asia, Cina in testa, vedo grandi margini di crescita – spiega Fusco -. Quando l'abbiamo comprato, i ricavi erano a circa 7 milioni, nel 2014 siamo arrivati a 12. Però, non esagero, C.P. Company potrebbe generare un fatturato di dieci volte superiore in pochi anni. Certo, bisogna investire molto e noi abbiamo cercato di non trascurare il nostro altro marchio Blauer e i progetti minori ma comunque importanti ai quali ci siamo dedicati negli anni scorsi, come Bpd per l'abbigliamento o la capsule di t-shirt in cotone e cashmere Prince Tees».

Per festeggiare 40 anni, Fusco ha creato una capsule collection che ruota intorno al capo-icona di C.P. Company, la Goggle Jacket, nata nel 1988 da un'idea del fondatore del marchio, lo stilista Massimo Osti, per i piloti della Mille Miglia. La giacca è famosa per le lenti inserite direttamente sul cappuccio e sulla manica, ideate per facilitare i movimenti dei piloti durante la gara. «La Goggle sarà la protagonista assoluta della mostra che allestiremo al prossimo Pitti Uomo, in giugno, dove saremo ospiti d'onore – aggiunge Fusco -. Abbiamo inoltre già creato un hashtag, #cp40th, e vorremmo che tutti i nostri follower si facessero una foto con la loro Goggle: alla fine dell'anno le raccoglieremo tutte in un libro».

Il 2014 è stato un buon anno per Fgf Industry, nonostante l'altro marchio del gruppo, Blauer, sia molto sbilanciato sul mercato italiano, che assorbe il 70% circa dei ricavi. «Nel complesso, il fatturato è cresciuto del 10% a 48 milioni e sentiamo che c'è, finalmente, una ripresa del consumi e che i multimarca, dopo anni di crisi, hanno ricominciato ad avere fiducia e, fatto non secondario, a pagare con regolarità – aggiunge il fondatore del gruppo veneto -. Nel 2015 continueremo a concentrarci sul core business dei capispalla, ma proseguiremo il lavoro sulle linee di accessori e in particolare sulle scarpe, sia per Blauer sia per C.P. Company, che a partire dall'autunno-inverno 2015-2016 avrà una collezione donna».

Per Blauer l'obiettivo è, in pochi anni, di portare l'export al 50%, puntando in particolare sui mercati asiatici. «In Cina vorremmo trovare un partner locale, ma non è facile, molti marchi hanno avuto brutte avventure. Quindi procederemo con calma, ma lo faremo: finora il mercato era polarizzato tra prodotti di fascia bassa e medio-bassa e di lusso. Ora sta finalmente nascendo il segmento del medio di gamma, per soddisfare la crescente classe media, che ha stipendi più alti rispetto al passato e, viaggiando di più, sta sviluppando un gusto per l'abbigliamento e per il made in Italy. E noi siamo made in Italy, anzi, made in Veneto, al 120%». Strategico sarà inoltre l'e-commerce: «Le vendite online stanno crescendo, trainate in particolare dal pubblico più giovane, che fa la maggior parte degli acquisti usando il canale digitale. Internet però vuol dire molto di più e penso che tutti siamo d'accordo sul fatto che in futuro vincerà chi saprà coniugare contenuti, fruibilità del sito, facilità di acquisto e integrazione con il mondo reale, cioè con i negozi, che possono dare servizi diversi e una shopping experience altrettanto ricca».

A proposito di negozi, per prepararsi a Expo, Fusco sta pensando di concentrare gli sforzi retail sul negozio milanese di piazza 24 Maggio, che si trova a due passi da Eataly, diventato in poco più di un anno una vera e propria shopping destination per chi viene a Milano ma anche per chi ci vive. «Il flagshipstore di via Manzoni ha il vantaggio di essere a ridosso del quadrilatero della moda, ma è molto difficile renderlo davvero profittevole: gli affitti di quelle vie sono proibitivi e non possiamo accontentarci di usare il negozio per aumentare la brand awareness. Abbiamo capito che è già molto alta».

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