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Luxury Summit/1

Kpmg: al made in Italy serve una strategia omni-channel per sedurre la Cina

«L'errore più grande e forse ancora più diffuso tra le aziende di moda e lusso? Identificare la strategia digitale con gli investimenti nell'e-commerce o in una combinazione di e-commerce e m-commerce (attraverso dispositivi mobile). C'è molto di più e il successo delle vendite sul web e poi nel mondo reale dipende da come e quanto si investe in moltissimi altri aspetti legati a internet». Maurizio Castello, partner di Kpmg, sintetizza così il punto di partenza dello studio che sarà presentato domani in occasione del 7° Luxury Summit del Sole 24 Ore (si veda anche l'articolo a fianco).

Oggi non si dovrebbe già più parlare di semplice canale online, ma di strategia per arrivare a una distribuzione “omni-channel”, che comprenda cioè sia i negozi tradizionali, monomarca e multimarca, sia quelli su internet, le cui vendite si influenzano reciprocamente, in modi però ancora difficili da analizzare o prevedere. «Per questo parliamo di equazione irrisolta e pensiamo che il caso cinese rappresenti un buon punto di osservazione – spiega Castello –.I clienti, in Europa e sicuramente in Cina, si aspettano un'esperienza omnichannel, con lo stesso livello di offerta e servizio online e offline. Ma la maggior parte delle aziende non sono in grado di offrire una simile esperienza a 36o°».

L'attenzione al caso cinese è presto spiegata: secondo un recente studio Netcomm, nel 2014 il Paese è risultato al primo posto per vendite online (non solo di prodotti di moda e lusso), con 500 miliardi di dollari. Al 2° e 3° posto ci sono Stati Uniti e Regno Unito (460 e 162 miliardi di dollari), ma i tassi di crescita sono molto diversi: nell'Asia-Pacifico l'aumento nel 2014 è stato del 18%, contro il 9% del Nord America. Non solo: al primo posto – sempre stando ai dati elaborati da Netcomm, il consorzio italiano dell'e-commerce – per vendite B2C cross-border ci sono Stati Uniti e Regno Unito, ma al terzo posto si piazza la Cina, segno che i cinesi iniziano a comprare molto anche su siti stranieri, nonostante la presenza di colossi locali come Alibaba.

Ma quali sono le priorità per avere successo tra gli e-shopper cinesi? Kpmg ne individua sette. Le aziende del lusso devono costruire versioni cinesi dei loro siti che abbiano più informazioni di quelli originali; i siti devono essere completamente integrati con i social network locali; i commenti degli utenti vanno ascoltati e approfonditi da parte dell'azienda; il checkout deve seguire gli standard cinesi, che preferiscono Alipay, Tenpay e Cash Delivery; spedizioni e consegne devono essere facilmente rintracciabili e i resi devono essere facilitati al massimo; i servizi di supporto devono occuparsi sia di device mobili sia di pc che usano ancora Explorer 6; sia il sito sia il servizio di assistenza devono essere in mandarino.

«Il tema dell'm-commerce è cruciale: nel 2014 gli acquisti fatti da smart phone o tablet sono cresciuti del 390% a 120 miliardi di euro – sottolinea Maurizio Castello –. Lo sviluppo continuerà anche grazie alla strategia del Governo, che sta investendo moltissimo per aumentare la diffusione di 3Ge 4G, proprio per stimolare l'e-business. Gli utenti che utilizzavano queste reti nel 2012 erano 233 milioni, passati a 654 nel 2014 e per il 2020 si stima arriveranno a 1,2 miliardi, con un Cagr dal 2012 del 23%». Molti gli spunti che emergono dall'analisi condotta da Kpmg sui principali social network cinesi: WeChat (social e instant messaging) e Ozone – entrambi parte del colosso da 13 miliardi di dollari di fatturato Tencent – hanno rispettivamente 500 e 800 milioni di utenti registrati, mentre Sina Weibo (microblogging) ha 250 milioni di account e ricavi 2014 di 340 milioni di dollari. «Per un brand del lusso essere attivi su WeChat è fondamentale per creare traffico verso il sito ufficiale, per stimolare gli acquisti, ma anche per presentarsi al pubblico cinese e in particolare a quello più giovane», conclude Castello.

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