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Al Sole 24 Ore il Luxury Summit sulle sfide del made in Italy

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7° Luxury Summit

Al Sole 24 Ore il Luxury Summit sulle sfide del made in Italy


Sono state oltre 1000 le persone che hanno partecipato alla prima giornata della settima edizione del Luxury Summit. Tra loro, studenti della Business School del Sole24ore, in primis quelli del master in Fashion&Luxury Managerment, ma soprattutto addetti ai lavori e personalità di spicco del sistema moda-lusso come Claudio Marenzi, presidente di Sistema Moda Italia, che ha preso parola sul tema del reshoring, Carlo Capasa, presidente della Cnmi, e Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine. Molti gli spunti emersi durante la mattinata, scandita da interventi e interviste one-to-one ai protagonisti della moda made in Italy e, più in generale, del mercato del lusso.

I protagonisti del summit, trasmesso in live streaming sul sito eventi.ilsole24ore.com/luxury-2015, si sono confrontati su temi di stretta attualità: le produzioni di alta gamma, la filiera, il costo del lavoro, la formazione delle maestranze, le vendite all'estero, le strategie di sviluppo tra retail on e offline; la crosscanalità come driver di crescita. La mattinata ha preso il via con l'analisi di Antonio Achille, partner di Boston Consulting Group: ha evidenziato come nei prossimi 10 anni 2/3 della crescita del settore beni di lusso sarà una organica (quindi a parità di perimetro di negozi). A fare la differenza, dunque, sarà la capacità da parte dei brand di stabilire un rapporto con il cliente, facendo leva su valori quali l'autenticità. Il lusso sta cambiando pelle, affermandosi come una sintesi tra qualità, esclusività, artigianalità. Lo conferma anche Marco Pirone, amministratore delegato di Louis Vuitton Italia: l'azienda francese non solo ha cambiato gli equilibri del proprio fatturato, che oggi più che in passato si deve ai prodotti di fascia alta, ma produce in Italia. Le calzature, per esempio, sono realizzate nello stabilimento di Fiesso d'Artico in Veneto.

In questo contesto in continua evoluzione, il made in Italy è uno strumento importante: è riconosciuto come trademark leader nei segmenti abbigliamento, accessori e gioielleria davanti al temuto made in France. Per questo è sempre maggiore il numero di aziende che scelgono di riportare parte della propria produzione in Italia. È questo è il momento giusto per farlo: lo ha spiegato Erika Andreetta, di partner di Pwc, presentando un progetto ad hoc.
A traslare il discorso sul piano reale sono stati cinque imprenditori alla guida di altrettante aziende italiane che, sebbene diverse tra loro, continuano a produrre nel Belpaese. E, forti di questo legame con il territorio, riscuotono sempre maggiore successo all'estero.

«Il mondo del lusso è in continuo cambiamento e le aziende devono prevedere dove saranno i consumatori. Bisogna che si informino anche su temi geopolitici, se serve». Michele Norsa, amministratore delegato di Salvatore Ferragamo, ha raccontato la parabola di crescita di cui è stata (ed è) protagonista l'azienda toscana, che oggi deve una porzione importante del proprio fatturato ai clienti stranieri, sia in Italia sia all'estero: «Anche grazie a Expo 2015 stiamo registrando una crescita a doppia fila in tutte le principali città d'arte italiane», spiega. È orientata ai mercati stranieri anche la road map di Versace, azienda che, dopo l'ingresso nella capitale da parte di Blackstone, punta a superare gli 800 milioni di euro di fatturato nel 2017 e, probabilmente, si quoterà nel 2018. «Abbiamo puntato sul dna Versace per curare il rilancio della maison - ha detto il ceo Gian Giacomo Ferraris-. I nostri focus sono due: il retail, reale e virtuale, e i giovani, sia come potenziale clientela sia come nuova linfa da inserire in azienda».

Antonio De Matteis, amministratore delegato di Kiton, Tony Scervino, ceo di Ermanno Scervino, e Giuseppe Santoni, ad dell'omonima azienda calzaturiera hanno dato voce alle tre realtà sopra citate nelle quali il made in Italy prende forma quotidianamente, complici le mani sapienti di artigiani specializzati, sempre più difficili da trovare. Il punto di forza di queste imprese è il prodotto: raffinato, di qualità altissima. Ma anche la cura delle relazioni del cliente fa la differenza, soprattutto quando si parla di consumatori stranieri. «All'ultimo piano del Palazzo Kiton di via Pontaccio ci saranno delle suite per ospitare i nostri clienti; al piano inferiore un ristorante napoletano», ha detto De Matteis.

Gli interventi di Paolo Alberto De Angelis, vice direttore della divisione corporate di Bnl-Gruppo, Bnp Paribas e Luca Solca, head of luxury goods Exane –Bnp Paribas, hanno contribuito a contestualizzare le storie aziendali, anche sul piano economico: «Se un'azienda del lusso vuole avere successo deve vendere – ha detto Solca – e quindi è necessario combinare l'esclusività con l'accessibilità, ma anche puntare su valori come la sostenibilità. E, ovviamente, raggiungere il cliente attraverso canali diversi». Uno di questi può essere l'outlet che, come sostenuto da Luigi Feola, presidente Value Retail Management, società che in Italia gestisce Fidenza Village e cresce a doppia cifra anno su anno grazie ai turisti.
La crosscanalità è uno dei temi che le aziende del lusso devono affrontare con urgenza: l'integrazione tra e-commerce e negozi “fisici” è la chiave di volta per lo sviluppo. Lo dice la ricerca «Digital Frontier» di ContactLab ed Exane, presentata da Massimo Fubini a chiusura dei lavori; lo conferma lo studio «Omni-channel e digital strategy: un'equazione irrisolta. Il caso cinese» illustrato da Maurizio Castello, partner di Kpmg. Al contempo, però, fa sorgere una serie di interrogativi rilevanti, come quelli sulle questioni legali sollevati da Giangiacomo Olivi, partner di Dla Piper.

La seconda giornata del Luxury Summit, a ingresso libero previa registrazione, è domani: si parte alle 9,15 con i protagonisti del mondo della gioielleria, dell'alta orologeria, dell'hotellerie e della cucina stellata.

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