In questi giorni, a Milano, la moda guarda con attenzione doppia del solito alla strada. Non al circo farlocco dei wannabe travestiti che si assiepano fuori dalle sfilate, sia chiaro. Piuttosto alla metropoli, anche ridotta a idea, con la sua energia abrasiva e vitale espressa da tribù dello stile che a conformarsi non pensano nemmeno, nonostante la galoppante omologazione digitale. «Non produco stando da solo dentro una stanza» racconta Alessandro Michele, il direttore creativo che da Gucci sta realizzando una apparente rivoluzione copernicana. «Devo guardare a quel che succede fuori, nutrirmi, elaborare». Michele è alfiere, insieme a Hedi Slimane e dietro a Miuccia Prada che di questa scuola di pensiero è indiscussa originatrice, di un approccio al fare moda che privilegia l'assemblaggio al disegno, lo stile al design, l'immateriale al materiale. In sintesi, questi autori producono il nuovo da un pastiche del passato e dell'esistente - quanto di più postmoderno.
Nelle note scritte di accompagnamento - forse eccessivamente teoretiche - Michele cita Guy Debord e la pratica situazionista dello spiazzamento: prendere elementi esistenti, lasciandoli inalterati ma ricontestualizzandoli in nuovi amalgami per trovare diversi significati. Che è poi quanto fanno i giovani ovunque, mescolando ciò che possono per creare le proprie nicchie estetiche e culturali. Solo che adesso l'azione, spontanea per strada, è glorificata in passerella, e diventa in un modo o nell'altro una messa in scena, con una griffe importante sul cartellino. Il senso alto e il limite ultimo dell'operazione di restyling del marchio fiorentino è in fondo tutta in questo iato. La sequenza di cappottini psichedelici e zampe d'elefante, di glitter e pizzi, di pelli da cowboy e jeans, d'altro canto, è un accattivante inno alla gioia liberatoria del decoro, pervaso da una incolmabile malinconia, perché quello che si materializza in passerella non è tanto un uomo femmineo quanto un uomo bambino, appena uscito da una estenuata e decadente cameretta.
Miuccia Prada parla di modestia per descrivere il senso di una prova che esplora ancora una volta il territorio all'intersezione tra buono e cattivo gusto, maturità e infantilismo. Anche il suo è un uomo bambino, a tratti proprio dimesso - eccola lí, la modestia - che porta giacchette fruste e pantaloncini lenti, maglioni pop e calzette doppie da antieroe, in una glorificazione dell'ugly chic che centra il bersaglio ma che in qualche modo è anche cliché.
Tutti questi discorsi evidenziano una bruciante attenzione per il tema dell'individualità: essere unici è il sacro graal del contemporaneo. Massimiliano Giornetti, da Salvatore Ferragamo, parla di personalità come accumulo singolare di segni. Lo fa attraverso una collezione insieme eclettica e controllata nella quale il rigore apparente del tailoring viene rotto dai grafismi non allineati, dai patch tattili, dal continuo alternarsi di geometrico e organico. Giocare con gli accumuli e le discrepanze è arte difficile, ma Giornetti si rivela magistrale nel dosaggio degli ingredienti, e convince. I rocker new wave di Diesel Black Gold sono una tribù tagliente che si veste solo di nero, metallo e bianco, di capispalla dai volumi decisi e pantaloni scheletrici. Vivono in città, ma il ritorno alla natura - si legga alla voce outdoors - è altro tema di stagione. «Ho voluto portare il mio uomo fuori dalla metropoli: in montagna, a fare hiking» racconta Tomas Maier, che da Bottega Veneta percorre la stimolante via dell'ibrido immaginifico forma/funzione e propone una idea di sportswear nobilitato e ricontestualizzato nella quale i pantaloni hanno sempre l'elastico alla caviglia e le scarpe allacciature tecniche, mentre i tessuti lucidi suggeriscono altri contesti e altri usi. Nella contaminazione, del resto, è la chiave dell'oggi.
Antonio Marras pensa al mare, e lo fa con quel tocco insieme nostalgico e coriaceo che gli è proprio. I suoi giovinetti di blu e azzurro vestiti sono pura poesia, con il foularino al collo e il fare scanzonato. I canottieri di Moncler Gamme Bleu sono vestiti di seersucker. Le proporzioni sono risicate, e quasi tutto è reversibile. La proposta è interessante, ma il format dello show-spettacolo andrebbe forse ripensato, perchè distrae. Gli anni Settanta di Federico Curradi per Iceberg sono organici - colori della terra da intellettuale impegnato - pensando alla cultura radical e a Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni. Kean Etro va in India, in una ricerca di purezza ascetica e opulenta, mentre Missoni dallo stesso continente carpisce colori e magia. L'uomo elegante e lieve di Canali coniuga la precisione modernista e scattante delle linee con il cromatismo deciso di colori densi e quasi autunnali - vino, verde intenso, ruggine - e il risultato è insieme facile e sofisticato. Le costruzioni rovesciate e le organze leggere usate al maschile sono pura sartorialità italiana, attualizzata. Da Fendi, in fine, torna protagonista la metropoli, luogo di continui detour dello spirito e del corpo. Silvia Venturini disegna un guardaroba modulare fatto di polo, T-shirt e pantaloni da jogging, nel quale al centro è la materia, trasfigurata con una sapienza quasi alchemica che nessuno potrà mai imitare.
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