Tra i molti cambiamenti in atto nel mondo della moda, c'è quello che sta interessando il segmento delle taglie “morbide” (oltre la 46), che per anni sono state definite, in modo decisamente infelice, “forti”. Oggi si usano anche altri termini, come “curvy”, per un mercato raramente analizzato in profondità e soprattutto spesso “snobbato” dagli stilisti e dai marchi di fascia alta, concentrati sulle taglie 38-44. Secondo Business of Fashion, uno dei più autorevoli siti internazionali dedicati al sistema moda, Marina Rinaldi «è l'unico brand che è riuscito a unire sotto lo stesso tetto l'idea di “taglie più” e quella di lusso».
Per Lynne Webber, gallese di origine ma in Italia da 30 anni, managing director del brand fondato dal gruppo Max Mara nel 1980, la questione è ancora più semplice. «Vogliamo far sentire le donne alle quali ci rivolgiamo a loro agio nei vestiti, esattamente come accade a chi indossa taglie inferiori alla 46, senza usare etichette o definizioni». L'obiettivo si raggiunge in due modi: prima di tutto con l'offerta di prodotto, poi con la comunicazione.
«È molto più difficile costruire un abito o un jeans taglia 52 che 42 – spiega Webber –. C'è una ricerca modellistica e sui materiali molto complessa, che un gruppo come Max Mara porta avanti da oltre 30 anni. Ma non basta concentrarsi sui capi di base: nei nostri negozi c'è tutto quello che serve, dalle calze ai body, passando per gli abiti da cerimonia e da una linea da sposa».
Sul fronte della comunicazione le cose si complicano: nelle società occidentali il numero di persone definite in sovrappeso continua ad aumentare ma non così la loro piena accettazione, anzi. Le donne, in particolare, vivono i chili in più (anche quando sono pochi) come un problema di accettazione di sé e di fronte agli altri. Il mondo della moda ha le sue colpe: non tanto e non solo perché porta in passerella modelle taglia 38 e propone un'ideale di magrezza irragiungibile, specie dopo una certa età, ma perché l'offerta di “plus size” è molto bassa. Basti pensare a un dato del mercato curvy americano, il più grande al mondo con i suoi 17,5 miliardi di dollari nel 2014 (+5% sul 2013, nonostante la crisi che era ancora in atto): il 65% delle donne americane porta taglie superiori alla 14 (la 48 italiana), ma a queste clienti è riconducibile solo il 18% delle vendite di abbigliamento.
«Il mercato italiano per noi resterà sempre importante, anche perché negli anni abbiamo costruito una base di clienti molto fedele – aggiunge Lynne Webber –. Però ora vogliamo crescere all'estero, che oggi vale circa metà dei ricavi. Nel giro di qualche anno vorremmo che l'export aumentasse fino al 65-70%, puntando su Stati Uniti, Russia e Regno Unito, mercati che sono cresciuti anche nel 2014 e che ci hanno permesso di mantenere i ricavi stabili rispetto al 2013». Sulla comunicazione, la managing director di Marina Rinaldi (nome della bisnonna del fondatore del gruppo Max Mara, Achille Maramotti), non ha dubbi: «Dopo il claim “Women are back” abbiamo cercato la prima testimonial che incarnasse i valori del brand e abbiamo scelto Patricia Arquette, da sempre fuori dai canoni di Hollywood eppure apparentemente così a suo agio con sé stessa e con il mondo».
Nel 2014 il fatturato Marina Rinaldi è stato di circa 160 milioni, grazie a una rete di 200 flagshipstore nel mondo e una distribuzione wholesale che conta circa 700 punti vendita. «Tra le novità del 2015, c'è l'inserimento nei nostri flagship della linea Persona, nata per un target più giovane, con una testimonial come Vanessa Incontrada – conclude Lynne Weeber –. Anche alle ragazze più giovani vogliamo dare la stessa opportunità: divertirsi con la moda senza mai sentirsi a disagio davanti allo specchio».
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