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La sfida vinta con il made in Italy

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l’analisi

La sfida vinta con il made in Italy

I più superficiali tra gli analisti dell'industria del lusso avevano storto il naso, nell'estate di tre anni fa, quando la maison Valentino era passata dal fondo Permira alla qatarina Mayhoola for Investment per 700 milioni di euro, valorizzando un multiplo di 25 volte i profitti, un record .

Si sbagliavano. Perché i record ora li sta macinando l'azienda romana, una delle più prestigiose a livello globale, controllata sì da un azionista estero ma governata da management e creativi italiani. Che hanno scelto di rafforzare il Dna made in Italy avviando joint venture produttive in Toscana per le calzature e in Lombardia per la pelletteria.

La strada del passaggio generazionale e dello sdoganamento del passato è stata irta di ostacoli: Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti hanno venduto alla HdP di Maurizio Romiti, intenzionato a creare un polo del lusso italiano, incassando nel '98 la bella somma di 540 miliardi di lire, conditi con lacrime e richiami alla mancanza di eredi cui demandare l'attività, peraltro da ristrutturare perché in perdita; nel 2009 è subentrata la famiglia Marzotto che in cinque anni ha riportato l'azienda al profitto e che ha monetizzato cedendo a Permira per una cifra cinque volte quella pagata. Nel 2009 il ceo Stefano Sassi ha insediato Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli, accolti con stupore dagli addetti ai lavori. L'arrivo degli investitori del Qatar ha innestato un circolo virtuoso, supportato da 250-300 milioni di investimenti solo nel retail in tre anni. Il successo sembra destinato a durare e le dimensioni a raggiungere quelle di concorrenti che al momento sembrano soffrire. La sfida è aperta.

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