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Chloé-girl meno francese ma sempre chic, la ninfa eterea di…

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PARIS FASHION WEEK

Chloé-girl meno francese ma sempre chic, la ninfa eterea di Vionnet, la donna-totem di Balmain


Il discorso sulla identità femminile contemporanea, meno idealizzata, photoshoppata, artificiale che nel recente passato, e per questo decisamente più viva ed energetica, prosegue da Milano a Parigi. È una estetica sublimata del caos metropolitano quella che prende forma attraverso collezioni multiformi e sfaccettate nelle quali è a volte inutile cercare un senso, o una ispirazione univoca, in look che si succedono con la stessa casualità di passanti incrociati per strada.

Oggi va così, e non è affatto detto che sia un male, perchè per una volta l'attenzione si concentra tutta sui vestiti, e sugli atteggiamenti che essi determinano, non sulla grandiosità distraente della messa in scena. «Ho dedicato questa collezione a quelle ragazze che incarnano una idea di semplicità vissuta con eccesso» scrive Clare Waight Keller, direttore creativo, nelle note di accompagnamento dello show di Chloé: «Persone che hanno ridefinito il modo di essere donne, oggi, con una spinta naturale a godere di tutto ciò che facciamo. Coerenti, vere, sempre in evoluzione». Il proclama, per una volta, non è pura trovata di comunicazione. Si avverte l'intensità emotiva e il profondo senso di condivisione di una donna che parla alle donne, e che le veste con abiti che esprimono vitalità, energia, sensualità, ma soprattutto naturalezza. La prova, tra le migliori di Keller, ridisegna l'archetipo della Chloé girl: meno francese, più britannica, ma sempre dannatamente chic anche con i pantaloni della tuta issati su tacchi altissimi, libera e liberata negli abiti multicolor, nelle salopette setose e in un guardaroba intero di pezzi pensati per una estate edonista e senza fine, è, semplicemente, una donna che vive, che esiste. È bella, perchè in lei non si avverte lo sforzo d'essere all'altezza di modelli impossibili, ma solo la gioia di essere se stessa.

Da Paco Rabanne, Julien Dossena continua a plasmare il nuovo corso di una maison che per definizione è radicale e di rottura. La mano si fa più decisa e sicura ogni stagione, anche se a questo giro il giovane direttore creativo cede anche lui alla tentazione del “non tutto ma di tutto”. Mescola organico e industriale senza apparente nesso tra un look e il successivo, sicchè i pezzi protettivi ispirati al motocross si alternano agli abitini tie dye, il barbarismo metropolitano dei cotoni sfrangiati alla fantascienza della pelle argento, le tutine di spugna alla tela distrutta e alle borchie. Il risultato non sempre convince, ma l'identità della nuova donna Rabanne è il vero agente aggregante, ed è ben chiara: dinamica e antiromantica, ha modi asciutti e una energia sportiva che la segnalano come figura originale e possibile.

È eterea ed evanescente, a sorpresa, la ninfa velata di Vionnet. Dopo alcune stagioni di incertezza, e certamente aiutata dall'arrivo nel design team, accanto ad Albino D'Amato e Diego Dolcini, di Hussein Chalayan, il direttore creativo Goga Ashkenazi riesce finalmente a trovare la chiave per interpretare in maniera contemporanea l'eredità del glorioso marchio, senza snaturarla. Il click è nell'enfasi su una leggerezza fluida e sensuale, di chiara ascendenza ellenica ma mai costumistica, e poi nel gioco di sovrapposizioni e sfaldamenti che elevano la silhouette invece di appesantirla. La prova è fresca e convincente, e fa ben sperare per l'immediato futuro della maison.

Come sempre, le opposizioni dei modelli di riferimento sono stridenti e potenti. La silfide di nero ammantata di Ann Demeulemeester, il collo ancorato da un collare sadomaso, i piedi intrappolati in zeppe e tacchi chilometrici, è un inno alla verticalità secca, mentre la femmina totemica di Balmain è un omaggio orgoglioso alla voluttà compiaciuta e ferina delle curve alla Kim Kardashian. Olivier Rousteing, il direttore creativo amato dalle star eccessive e seguitissimo sui social, è un massimalista della prima ora, e questa prova, piena di omaggi ad Azzedina Alaïa come a Gianfranco Ferré, ne è l'ennesima dimostrazione, tra abiti di bandelle elastiche, tripudi di ricami e pantaloni multi-volant da tuca tuca. Sorprende, in un creativo non ancora trentenne, un immaginario cosí storicizzato, ma in fondo la varietà di voci nella moda è una forza.

È di una potenza primordiale e di un lirismo emozionante la visione di Rick Owens, che nei sotterranei del Palais de Tokyo manda in scena una riflessione su quel che significa essere umani, oggi e sempre: sostenersi. Le modelle portano corpi di altre modelle addosso, come in una leggendaria performance di Leigh Bowery, ma il concetto non annulla gli abiti, anzi ne amplifica il purismo scabro, i movimenti scultorei, il ritrovato senso di essenzialità antidecorativa, ammantandoli di energia umana e toccante. È un Rick Owens concentrato e istrionico, compiaciuto e criptico, che spiegazioni non ne da, perchè a volte basta solo emozionare ed emozionarsi.

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