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Demna Gvasalia nuovo direttore creativo di Balenciaga. L’intervista: «La mia moda per donne che si prendono cura di sé»


La maison Balenciaga, del gruppo Kering, ha comunicato oggi la nomina a direttore creativo di Demna Gvasalia, che prende così il posto di Alexander Wang. Riproponiamo di seguito l’intervista allo stilista firmata da Angelo Flaccavento nel marzo di quest’anno, quando il marchio di Gvasalia, “Vetements”, si era fatto apprezzare come una delle più interessanti novità della settimana della moda di Parigi.

L’affermazione può suonare blasé, ma nello scenario della moda contemporanea, saturo fino all’esplosione, fitto di protagonisti e figuranti fino all’occlusione, le epifanie - momentanee, certo, perché tempus fugit e le lancette modaiole girano a velocità doppia - diventano più rare ogni stagione. Eppure, c’è fame di fashion moment che rivelino al mondo idee non allineate, di gesti eversivi che spacchino la spessa patina di conformismo, affarismo e marketing che rischia di soffocare una industria basata indubbiamente sul commercio, ma alimentata solo e sempre dalla creatività.

Quando la sorpresa arriva, però, colpisce forte. A Parigi, all’ultimo giro di sfilate, si chiama Vetements. Il passaparola, spontaneo ma virale, è tale da attrarre tutti, dagli editor di Vogue America a Kanye West, assiepati su scomodissime panche. Di botto, come non succedeva da tempo, si avverte la scossa elettrica del fenomeno colto sul nascere, con tutti i corollari del caso, dalla maleodorante location underground - un laido sex club alle porte del Marais - al cast di non professioniste - la creme de la creme delle cool girl du moment - dalla musica assordante alla marcia in passerella così veloce da sembrare una corsa.

Ingredienti giusti per un sensazionale colpo di teatro, non fosse che Vetements fa sul serio. «L’essenza di Vetements è nel nome: significa abiti in francese e condensa in modo letterale il nostro approccio creativo e la nostra strategia di branding - racconta Demna Gvasalia, mente e motore del progetto -. Tutto ruota intorno ai vestiti, niente di più, niente di meno». Il dato di fatto è servito. Gvasalia, poco più che trentenne, georgiano ma formatosi ad Anversa, già membro dei design team della Maison Margiela e di Louis Vuitton, ha lanciato Vetements solo un anno fa con l’idea di creare un guardaroba, ovvero una serie di pezzi, non un look. Gioca con le proporzioni dei capi, estremizzandole, distorcendole, alterandole, mantenendo sempre, al fondo, un pragmatismo off ma incontrovertibile.

«Non lavoriamo su temi stagionali - spiega - ma sulla autenticità della costruzione, sulla rispondenza tra forma e materiale». Il discorso suona familiare: ricorda il pensiero di Martin Margiela, di cui Gvasalia si può a ragione considerare erede putativo. Identico è l’apprezzamento per la concretezza del mestiere sartoriale, il gusto del classico sovvertito con un subitaneo slittamento di scala o una inversione di prospettiva. Diversa, invece, è l’energia, che per Vetements è punk, abrasiva, e veicola un messaggio libertario fino al caos. «Mi piacerebbe vedere i nostri capi nei guardaroba di donne che non si curano delle mode, ma delle proprie esigenze» dichiara Gvasalia, che ha già piazzato la collezione nelle migliori boutique internazionali. Seppure fortemente stilizzato in passerella, il suo approccio è infatti contrario allo styling assoluto che impera per ogni dove: non si concentra sull’assemblaggio, dunque, ma sul singolo pezzo.

Le sue runner metropolitane con i giubbotti parossistici e le cuissarde da cowboy, le virago con i cappotti sovradimensionati e i jeans rattoppati le si può immaginare, seduta stante, pronte a lasciare i sotterranei de Le Depot per uscir in strada, fiere e sprezzanti, nella notte di una qualsiasi città. La chiave è in una scabra autenticità, risultato di una testarda indipendenza, metodologica e materiale. Conclude Demna, il cui talento, ancora acerbo, era stato notato in Italia, a Its, già nel 2005, e che quest’anno è finalista per la seconda volta all’Lvmh Prize: «Siamo in otto, e ci occupiamo di ogni aspetto, dal design allo sviluppo del prodotto. Lavoriamo principalmente in Italia, perché ci sono ancora laboratori altamente specializzati che accettano di rischiare con un piccolo brand come il nostro». Un messaggio ruvido, ma rinfrancante, di pura speranza creativa.

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