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Bottega Veneta accelera su alta formazione e digital

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Bottega Veneta accelera su alta formazione e digital

«Bottega Veneta ha davanti a sé un futuro di crescita graduale, dopo dieci anni di incremento dei ricavi a doppia cifra. Oggi le fluttuazioni delle valute e i rischi terroristici stanno modificando l'atteggiamento dei consumatori e le aziende cercano di resistere puntando su solidità e notorietà del marchio: noi possiamo sfoggiare il valore unico dell'artigianalità made in Italy». Carlo Alberto Beretta, ceo di Bottega Veneta, il brand veneto controllato dal colosso francese Kering, interviene davanti alle aule riunite dei quattro Master luxury della Business school del Sole 24 Ore raccontando una case history di successo: nei primi nove mesi del 2015, l'azienda ha realizzato ricavi di 953 milioni, in aumento del 5,6% a cambi comparabili, mentre l'intero 2014 si era chiuso a quota 1,131 miliardi, con un'incidenza dei profitti operativi sui ricavi pari al 31,6%.

Beretta, siete un benchmark nell'industria del lusso. Qual è la ricetta?
I capisaldi sono quattro: materiali di altissima qualità, funzionalità moderna e comfort dei prodotti, design innovativo e senza tempo, e artigianalità senza compromessi. Da noi le persone sono più importanti delle macchine: l'intrecciato, la lavorazione che è il nostro logo-no logo, non può essere fatto a macchina e ogni intrecciato è diverso dall'altro in base al know how del singolo artigiano.

Il core business di Bottega Veneta è la pelletteria: qual è l'entry price?
La pelletteria pesa ora per l'85% del fatturato e le nostre borse hanno un entry price di 1.100 euro, anche se il prezzo medio è di 2.480 euro: un segmento dove i competitor sono solo una manciata. La nostra missione è comunque quella di accelerare sulle altre categorie merceologiche di quello che, di fatto, è un vero e proprio lifestyle brand. E le scarpe, ad esempio, ora stanno crescendo velocemente.

Qual è il ruolo del direttore creativo, Tomas Maier, nello sviluppo del brand?
Tomas, che nel 2016 celebra i 15 anni di direzione stilistica in concomitanza con lo stesso anniversario del passaggio di BV sotto Kering, è un creativo che capisce molto di business, forse anche perché ha un marchio eponimo. Arte e architettura sono la sua passione, e la sua collaborazione con i nostri cento artigiani dell'Atelier di Montebello e i 300 dell'indotto locale è la chiave del successo, un circolo virtuoso fondamentale per il turnaround dell'azienda.

I n effetti, quando è stata rilevata da Kering, BV fatturava una trentina di milioni, ma era in rosso profondo...
Kering ha saputo supportare l'individualità del marchio, che era e resterà sempre assolutamente italiano, oltre ad avere una forza finanziaria che è un plus per chi fa parte del gruppo.

Garantire la continuità artigianale, però, non è facile.
Abbiamo creato la Scuola dei maestri pellettieri di Bottega Veneta che consente una cross-fertilization con i nostri specialisti già esperti, in cui inseriamo anche giovani talenti dello stile. Inoltre abbiamo costituito a Pedemonte, Arsiero e Rotzo tre cooperative di un'ottantina di donne che si autogestiscono, rilanciando sul territorio ex artigiane del distretto orafo che, nonostante le abilità manuali, erano rimaste senza lavoro.

Sul fronte distribuzione ci sono novità?
Oggi abbiamo 243 punti vendita nel mondo, potremmo averne il doppio, perché ogni giorno ci arrivano richieste per aprire spazi nei department store, che rifiutiamo. Teniamo molto a una distribuzione selettiva che non diluisca il brand.

Arriveranno altre Maison come quella di Milano?
È l'esempio perfetto di quel che abbiamo in mente: in primavera inaugureremo una Maison a Beverly Hills e la terza sarà a New York nel 2017. Poi, forse, Tokyo, Hong Kong e Cina. Aumenteremo anche gli spazi medi dei negozi e, ovviamente, acceleriamo sul digital, un canale ineludibile già ora: l'80% dei cinesi sceglie online quello che compra anche in negozio.

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