Entro i prossimi dieci anni un altro miliardo di donne entrerà nel mondo del lavoro, e questa non è un’ottima notizia solo per le pari opportunità, ma anche per i produttori di scarpe. Secondo un report di Transparency Market Research, la categoria che crescerà di più sarà proprio la women’s professional, che trainerà le vendite del settore verso i 211,5 miliardi di dollari nel 2018, soprattutto in Asia-Pacifico, Europa e Stati Uniti. Per definire le strategie dei principali brand che hanno nelle scarpe il loro core business, la società di analisi Fashionbi ha pubblicato il report “Premium Shoes Market”, con la classifica dei primi 15 marchi per fatturato, distribuzione retail, ma anche reputazione sul web. Su 15, otto sono italiani, e italiano è il primo in assoluto, Salvatore Ferragamo, sia per ricavi che per punti vendita, 470 contro i 289 del secondo in lista, Manolo Blahnik (che però ne ha 200 solo negli Stati Uniti), seguito da Bally con 159.
«Un sistema retail molto esteso non garantisce però un ampliamento della clientela - spiega Ambika Zutshi, amministratore delegato di Fashionbi -. Aprire un negozio è un impegno gravoso, e prima di entrare in un mercato bisogna fare ricerche accurate, anche sul potere d’acquisto dei consumatori, quello di cui parlano online, e sulle strategie dei concorrenti».
A fronte di una decisa concentrazione di punti vendita in Asia-Medio Oriente (per un totale di 640), Europa (548) e Nord America (431), spicca ancora la mancanza di negozi in Africa e Oceania: Ferragamo è primo anche su questo fronte, con 19 negozi, e in Africa solo Manolo Blanhik ne ha uno. Tutti gli altri, assenti: «In pochi rischiano di aprire una boutique senza una previsione sul roi - prosegue l’analista -. Eppure, i brand stanno lentamente e costantemente investendo in questi mercati, magari sperimentando prima con l’e-commerce». A genererare buoni risultati è anche la brand extension: anche qui, Ferragamo ha la più ampia, dai profumi agli orologi, mentre Christian Louboutin è finora l’unico ad aver lanciato una linea beauty.
E se i ricavi provengono soprattutto dalle collezioni da donna, le prossime “miniere d’oro” saranno quelle da bambino e da uomo: di 15 marchi, in 10 hanno una linea uomo e solo 4 quella kids. Solo Ferragamo e Tod’s hanno entrambi: «Il kidswear non è ancora al suo massimo, mancano esperti, e i brand sottovalutano che oggi i bambini sono dei consumatori consapevoli, molto ascoltati dai genitori - spiega Zutshi -. Per l’uomo, invece, ci sono ancora poche opzioni disponibili, e la promozione è scarsa. A differenza delle donne, gli uomini danno più valore alla qualità rispetto alla quantità: dunque, anche se un uomo comprerà un solo paio di scarpe all’anno, spenderà di più per avere un prodotto che duri».
Fra le strategie vincenti c’è anche il puntare sulle celebrità, soprattutto se la collaborazione si traduce in una capsule collection: «I brand stanno diventando sempre più bravi nello scegliere influencer locali, come hanno fatto Gucci con Yang Yang e Burberry con Liu Wen in Cina - spiega l’analista-. E i post con celebrità sono quelli più seguiti sugli account dei marchi. Non dimentichiamo, inoltre, che ogni nuovo follower, se coinvolto con buoni contenuti, può diventare ambasciatore e cliente affezionato del brand ».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© Riproduzione riservata