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A Pitti si riflette sulle generazioni e la forzata - a volte ridicola…

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pitti uomo 89

A Pitti si riflette sulle generazioni e la forzata - a volte ridicola - «post-giovinezza»

Ciascuna edizione di Pitti Uomo ruota intorno a un tema che è in parte espediente scenico, in parte tracciato di stimolazione visiva tra le progressive incongruità degli innumerevoli padiglioni della fiera, in parte riflessione leggera, ma non per questo superficiale, sul costume contemporaneo. Generation(s) è il fil rouge dell'edizione numero 89. Con la “s” tra parentesi, quasi a sottolineare l'annullamento delle barriere generazionali che è uno dei fenomeni più evidenti della dittatura attuale dello stile, vera ossessione per giovani e non più giovani, sacro graal al cospetto del quale si sacrifica tutto, a volte persino la dignità, nella malcelata speranza di essere á la page.

Le generazioni di un tempo, divise da steccati ideologici e culturali che erano anche, o forse soprattutto, modi di rappresentarsi nel teatrino del vivere sociale, si sono annullate in una entità più grande e pervasiva, fluida e globale: una onnipotente e onnipresente megagenerazione - al singolare - all'interno della quale il quarantenne si comporta da pischello in tempesta ormonale, l'adolescente sceglie il trisavolo analogico di un'epoca antecedente all'avvento della corrente elettrica come modello di riferimento estetico ed esistenziale, e le categorie predeterminate vanno definitivamente per aria. È il risultato ineluttabile del pensiero digitale: un big bang al quale nessuno ormai è più in grado di sottrarsi, che ha cancellato per sempre il prima e il dopo, il presente e il passato, azzerando l'idea stessa della cronologia in favore di un eterno presente eccitante quando confondente. In un modo o nell'altro, trionfa la messa in scena: stile è quel che si sembra, non quel che si è, come uno scatto editato ad arte su Instagram o Snapchat.

È significativo che lo shuffle delle età dello stile avvenga proprio all'interno di Pitti Uomo, accompagnato da un video di Pasquale Abbatista che a suon di morphing liquefà il volto della cinquantenne in quello del ventenne per poi trasformarlo nel viso del saggio canuto e prendere subito le fattezze della ex modella dal fascino senza tempo, in un ciclo infinito di mutazioni plastiche che sconfiggono i limiti ormai vetusti della fisiognomica. A Pitti oggi si celebra lo stile transgenerazionale perché è proprio nello scenario di Pitti Uomo che il fenomeno per primo si è imposto agli occhi degli osservatori.

Proprio qui infatti una scintilla deflagrante di vanità, appiccata dai documentatori dello street style, ha preso alla testa uomini di ogni età, convincendoli della necessità ineluttabile dei quindici minuti di fama - digitale - ottenuta nel modo più semplice: apparendo. Sobillati dall'obiettivo che li avrebbe resi icon e, alla meglio, influencer, i giovani e i non più giovani frequentatori della fiera, vera passerella a cielo aperto, hanno preso a pavoneggiarsi senza limiti e senza sosta, provando di tutto, dal classicismo parossistico al passatismo parodistico al giovanilismo alternativo, in una escalation inversa che ha visto i ventenni paladini di valori aviti e i cinquantenni neofiti incalliti del rock 'n' roll. Una farsa, in molti casi, foriera comunque di profonde verità.

Le età dello stile, per come le conoscevamo, non sono però solo un ricordo. Esistono e resistono, forse, ma hanno assunto connotati, come tutto il resto della contemporaneità, liquidi. Del resto, tra ossessioni salutiste e sfinimenti da fitness, la terza età è stata, almeno fino ad un certo punto e di certo iconograficamente, del tutto cancellata, in favore di una condizione di post giovinezza forzata che va dai cinquanta in sù, annullando decadi e acciacchi. Questa storicizzazione della figura del nonno, per inciso, ha subito reso il grandpa icona di stile, come dimostrano esperimenti quali l'Instagram account Fashion Grandpa, documentazione icastica di arzille e scoppiettanti vetustà. Da un punto di vista biecamente economico, disconoscere il potere di spesa di una fetta di consumatori ancora attivi ma sempre più in là con gli anni sarebbe scellerato: da qui l'ampliarsi della proposta, resa accattivante dalla promessa della giovinezza ritrovata a mezzo look. La pertinace ricerca di individualità e singolarità, e il parallelo imporsi di canoni di bellezza più inclusivi hanno fatto il resto.

Ecco allora Joan Didion testimonial di Céline, robusti e canuti signori sulle passerelle di Yohji Yamamoto, modelli non più infanti tra le pagine delle riviste branchè. Non è tanto un fatto di stranezza ricercata, quanto il riconoscimento di uno spettro espandibile di possibilità estetiche. Si sta avverando quanto Ted Polhemus aveva preconizzato già più di 20 anni fa, ovvero l'apertura di un autentico supermarket dello stile nel quale tutto è disponibile per tutti, con il plus di contraddire e riconfigurare i codici anagrafici.

Progresso o farsa? A voi la scelta. Certamente il ridicolo è parte del ciclo: le evoluzioni del costume ne contemplano dosi massicce, perché quel che oggi ci scandalizza domani ci farà ridere, e viceversa, ad infinitum.

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