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Raffaello Napoleone (ad Pitti Immagine): «Gli artigiani-innovatori sono i veri protagonisti della fiera»

L'amministratore delegato di Pitti Immagine, Raffaello Napoleone
L'amministratore delegato di Pitti Immagine, Raffaello Napoleone

«Pitti Uomo? È un palcoscenico per le aziende di moda nelle varie fasi della loro crescita. E la partenza dei grandi marchi alla fine è stata un'opportunità che ci ha permesso di rivedere la strategia». Raffaello Napoleone, amministratore delegato della società fiorentina Pitti Immagine, da 27 anni misura, al timone della “macchina” fieristica, temperatura e umore di uno dei settori industriali più importanti del Paese.

Che cosa cambia in questa edizione di Pitti Uomo per venire incontro alle richieste del mercato?
Più che cambiare, si rafforza il lavoro di internazionalizzazione della manifestazione avviato anni fa. La frontiera ormai, visti anche i consumi interni deboli, è quella dei mercati esteri. E questo vuol dire che noi dobbiamo dare un'offerta di prodotto sempre più selezionata, qualificata, innovativa e internazionale. I 251 marchi nuovi di questa edizione sono il vero segnale del dinamismo e della strategia che ci sono dietro Pitti Uomo.

E sul fronte del prodotto?
Si rafforza la sezione New Makers, destinata alla nuova generazione di artigiani in grado di interpretare le tendenze emergenti nel costume e nel lifestyle: una moda con un tasso artigianale molto alto, che sempre più ricerca un prodotto con una identità forte, ben fatto, che ha in sé valore, gusto e stile che giustificano l'investimento. L'artigianato di nuova generazione sta giocando un ruolo importante con l'impiego delle nuove tecnologie. E tutti i grandi marchi stanno realizzando linee fatte a mano, o prodotti di archivio attualizzati.

Quanto avete investito per questa edizione di Pitti Uomo?
Per allestimento, servizi e logistica 4,4 milioni, cui va aggiunto 1 milione per comunicazione e promozione: dunque, in tutto, 5,4 milioni.

E quanti soldi avete avuto dal ministero dello Sviluppo economico?
Nell'ambito del piano del made in Italy, che è triennale, nel 2015 abbiamo avuto 2,3 milioni per Pitti Uomo, Filati e Bimbo. Sono investimenti supplementari rispetto alle attività ordinarie; il Governo continua a essere vicino al settore.

Oggi i compratori vanno stimolati più di prima?
L'impostazione che è stata data al Pitti Uomo, con le sue 15 sezioni ripensate e potenziate, è di per sé stimolante. I compratori vengono a Pitti Uomo sapendo che la fiera cambia ogni volta; e noi viviamo con la continua pressione e il desiderio che di stagione in stagione Pitti Uomo si rinnovi, un po' come una rivista che non può perdere lettori. Gli eventi sono parte integrante: siamo l'unica manifestazione al mondo che riesce a mettere insieme, come in questa edizione, Adidas Originals, Marco De Vincenzo al teatro Niccolini, lo stilista coreano Juun.J, Generation Africa, Pitti Italics.

Rispetto a sei mesi fa, gli entusiasmi sul mercato si sono un po' raffreddati, tanto che il tessile-moda ha rivisto al ribasso le stime di crescita, in linea con l'Italia. Pitti Uomo fa altrettanto?
No, per noi non vale, visto che non avevamo mai ricevuto 650 domande di nuovi ingressi come è accaduto questa volta.

Siete preoccupati della possibile diminuzione di compratori americani per il pericolo terrorismo?
Abbiamo lavorato per mettere la manifestazione in completa sicurezza. Alcuni department store americani hanno dato libertà di scelta ai propri buyer, altri hanno consigliato di non muoversi.

Dieci anni fa Pitti Uomo ospitava 800 marchi, oggi sono saliti a 1.200 ma hanno dimensioni più ridotte. Significa che la fiera è sempre più attrattiva per chi è piccolo ma non riesce a trattenere i più grandi?
I grandi - penso a nomi come Zegna, Corneliani, Canali - da tempo hanno deciso di puntare sui flagship store e di ridurre la distribuzione wholesale. La funzione di una fiera come Pitti è mettere le aziende nella condizione di crescere, di avviare il percorso. In quest'ottica noi siamo più di prima una leva utile, se non indispensabile, per l'affermazione di un marchio. All'inizio la partenza dei nomi importanti ci aveva preoccupato, ma di fatto per noi è stata una grande occasione, un'opportunità che ci ha permesso di rivedere una strategia che era condizionata dai grandi marchi.

Pitti è sempre più internazionale: i marchi stranieri erano un terzo, oggi sono quasi la metà (43%): cosa vuol dire?
Vuol dire che si è attuata la strategia che avevamo individuato: fare di Pitti la manifestazione internazionale di riferimento per la moda uomo allargata agli accessori. La presenza di tanti marchi stranieri peraltro è una grande opportunità anche per le aziende italiane, perché molti si appoggiano ad aziende italiane per produrre o comprare tessuti.

Tre nomi che finalmente siete riusciti a portare al Pitti Uomo.
Non voglio fare nomi: sono molto contento di tutti quelli che sono arrivati.

Tre nomi che le è dispiaciuto veder partire.
Nessuno, perché chi è partito è cresciuto e può camminare con le proprie gambe. Da anni assistiamo a questa situazione di grande movimento all'interno del Pitti Uomo, che continua a essere palcoscenico per le aziende nelle varie fasi della loro crescita.

In 27 anni alla guida di Pitti Immagine, qual è il più grosso cambiamento che ha visto nel settore fieristico?
L'apertura a nuovi mercati: prima le manifestazioni guardavano sostanzialmente a Usa e Giappone, la vera grande novità è stata l'apertura al mondo. Il secondo cambiamento è il digitale: le vendite in rete hanno allargato la platea di operatori nel settore.

Anche la Fortezza da Basso, location di Pitti Uomo, si prepara a cambiare. Gli enti locali riparlano, per l'ennesima volta, di ristrutturazione…
I progetti sono molto importanti per le prospettive di sviluppo che deve avere una manifestazione come la nostra. La ristrutturazione è una grande opportunità per Firenze e può fare della Fortezza una fenomenale attrazione per il terziario avanzato. L'ipotesi presentata naturalmente ora andrà approfondita.

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