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Al via Milano moda uomo: il made in Italy sfida l’incertezza globale

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Al via Milano moda uomo: il made in Italy sfida l’incertezza globale

Nel 2015 l’industria della moda maschile italiana è cresciuta (+1,8% a quasi 9 miliardi) e soprattutto è aumentato l’export (+2,4% a 5,6 miliardi, pari al 63,4% del fatturato), con un picco negli Stati Uniti (+16,2% a 483 milioni), diventati il primo mercato per la moda uomo made in Italy.

Certo, le aspettative del primo semestre erano andate parzialmente deluse. Ma chiudere con un +1,8% nonostante tutti gli avvenimenti economici e geopolitici, in gran parte imprevisti, della seconda metà dell’anno era sembrato comunque un buon risultato, alla vigilia della settimana della moda maschile che si sta snodando tra Firenze e Milano. Quasi certamente per questo Pitti Uomo, la più importante fiera al mondo per l’abbigliamento maschile di fascia media e medio alta, si è chiusa ieri nel capoluogo toscano con un inaspettato successo di pubblico e – trattandosi di fiera aperta solo ai professionisti – di vendite. I buyer sono cresciuti del 4% rispetto all’edizione del gennaio 2015, con un aumento a doppia cifra dai compratori europei e americani. Ora si spera nello stesso clima a Milano, dove oggi iniziano le sfilate e presentazioni delle collezioni per l’autunno-inverno 2016-2017, anticipate ieri sera dal debutto di Peter Dundas per la linea Roberto Cavalli Uomo.

A controbilanciare il calo degli acquisti da parte di cinesi e soprattutto di russi (nel 2015 l’export è sceso del 33,7% a 112 milioni) si confermano quindi gli americani e gli europei: a Firenze sono aumentati in particolare i buyer tedeschi (+14%), gli spagnoli (+20%), gli olandesi (+14%) e i britannici (+9%). Nei prossimi quattro giorni a Milano sfileranno o presenteranno in showroom i più importanti nomi della moda italiana e non solo: già oggi ci saranno Corneliani, Dolce&Gabbana, Zegna e Versace, solo per citare quattro dei nomi più noti, mentre domani sarà la volta di Bottega Veneta, Ferragamo e Prada, seguiti, tra lunedì e martedì, da Fendi, Gucci, Armani con le sue due linee. Senza dimenticare marchi più giovani o con una storia più recente nel menswear, tra i quali Msgm e Scervino, alternati a nomi identificati con la tradizione sartoriale, come Canali e Brioni.

L’elenco è lunghissimo (39 le sfilate e 48 le presentazioni, per un totale di 87 collezioni, 9 in più rispetto al gennaio 2015) e comprende qualche debutto assoluto: il giovane Lucio Vanotti (che sfilerà oggi ospite all’Armani/Teatro) e la stilista inglese Helen Anthony, che sceglie Milano, non Londra, come vetrina.

Inevitabile il confronto con le altre settimane della moda, specie in previsione di un 2016 in cui i consumi, se cresceranno, non lo faranno certo a doppia cifra (la Camera della moda prevede un fatturato di sistema a +2,5% per il primo semestre). Da registrare un rinnovato sforzo a trovare location originali: Milano non può competere con Parigi o New York, ma può stupire con i suoi palazzi storici o con quelli che portano le tracce dell’architettura industriale della città. Il Comune ha ribadito l’impegno a sostenere il sistema moda cercando anche sinergie culturali (si veda l’articolo qui sotto) e tutti hanno grandi aspettative per la prima riunione del Comitato per la moda voluto dal viceministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda, che si terrà il 27 gennaio, portando allo stesso tavolo 14 associazioni che rappresentano l’intera filiera, fiere comprese.

Quanto alla formula in sé delle sfilate, va registrata la scelta di Prada, che sull’invito ha scritto “Men’s & Women’s show”. Da alcune stagioni Prada, durante le sfilate maschili, manda in passerella qualche modella con la precollezione della stagione successiva. Finora era sembrata una specie di provocazione. Adesso forse è qualcosa di più: sono anni che Patrizio Bertelli, ceo di Prada, sostiene la necessità di rivedere i calendari e di anticipare le sfilate donna di settembre a prima dell’estate (quando c’è l’ uomo). Se altri grandi marchi seguissero Prada, potrebbe essere questa “la via milanese” all’innovazione del format sfilate. Molto più sensata, a ben guardare, dell’idea di New York, che invece vorrebbe rendere le sfilate “instanly shoppable”, dando la possibilità di comprare subito ciò che si è visto in passerella.

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