
Il momento è caratterizzato da spinte estreme e contraddittorie, che la moda fomenta, evidenzia ed esacerba. All’ossessione per l’apparire, ad esempio, si oppone, di certo per reazione, un notevole rigore. La giornata d’apertura della moda uomo a Milano, a tal proposito, è una battaglia di opulenza e severità. A colpire è la profusione di sbrilluccichii e ricami: segno che la vanità maschile è stata definitivamente sdoganata anche nelle sue forme piú frivole, e che i pavoni sempre pronti ad aprir le code non identificano più machismo con rinuncia, abbracciando al contrario ossessioni e preziosismi un tempo considerati femminili. Anche perchè poi, a ben guardare, l’atteggiamento moralista in tema d’abbellimento è affare recente: in natura e nella storia a fiammeggiare è sempre il maschio. Senza considerare che c’è modo e modo di decorare.
Da Zegna Couture, ad esempio, Stefano Pilati si conferma creatore capace di rinnovare il classico dall’interno, evolvendolo con delicatezza affermativa. Questa stagione lavora intorno al nucleo autentico del concetto couture: il preziosismo personalizzato, il savoir faire che si traduce in unicum. «Ho voluto creare una autentica alta moda da uomo - racconta -. Decorarsi è un gesto antico, che ho estremizzato ma non forzato. La mia è una opulenza che è come se fosse lí da sempre». La sintesi riesce perchè il discorso è condotto in sottigliezza, limitando la gamma cromatica al nero e grigio, resi vivi dal moltiplicarsi di jacquard ton sur ton sui capi sartoriali, dal brulicare di ricami che creano patine scintillanti sui grossi maglioni.
Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono anche loro convinti decoratori. E lo sono dalla prima ora: il loro uomo esibizionista e muscolare ha fatto da apripista al fenomeno, mantenendo viva al fondo la nota di orgoglio siculo che lo rende vero. «Ci siamo ispirati agli spaghetti western musicati da Ennio Morricone - raccontano -. Il nostro però è un western ambientato in Sicilia, immaginato come un ricordo visto con gli occhi di oggi, senza nulla di letterale». In un set che mescola cactus e props filmici con una struttura futuribile fatta di iPad che mandano in loop spezzoni di western, si materializza una teoria di abiti decorati di revolver scintillanti, cappotti selvaggi di montone e pigiami, perchè il pavone di oggi mescola pubblico e privato, mollezza e aggressività: è gaudente e decadente, senza languori anacronistici.
Echi di boheme rockettara - vedi alla voce Mick Jagger e compagnia, nella fase del deboscio anni Settanta - percorrono l’ottima prova di Peter Dundas per Roberto Cavalli. L’attualizzazione del codice è semplice: basta mescolare animalier ed eccessi glam con spontaneità grunge, e il gioco è fatto. Il decorativismo di James Long per Iceberg è pop, nella miglior vena di questo storico marchio, mentre l’esteta sedizioso di Costume National riscopre i ricami, che mescola a colori accesi e sartoria affilata. Altrimenti, l’uomo dell’immediato futuro sarà rigoroso e antidecorativo. Un cadetto spaziale in spolverini di jersey spalmato e tute da jogging percorse da elementi luminosi, come immaginato da Donatella Versace, che resetta l’erotismo della maison spostandolo dal mondo classico al presente tecno. Le uniformi di Rodolfo Paglialunga per Jil Sander sono una inesorabile decostruzione e ricostruzione dell’iconografia militare, spostata sull’asse dell’underground. Da Marni il rigore si fa morbido e poetico, in una collezione di elegante intimismo fatta di pezzi che appaiono avvolti attorno al corpo con una naturalezza senza sforzo che è l’esatto contrario dell’esibizionismo. È una prova matura e lirica quella di Lucio Vanotti, che esordisce presso Armani/Teatro apparendo fin da subito come ideale erede del re in persona, con il quale condivide l’estetica in sofisticata sottrazione.
Altrimenti il rigore è puro classicismo sartoriale, sintonizzato sulla contemporaneità. Da Corneliani le spalle si allargano e le vite si alzano in un echeggiare di anni Quaranta che non è nostalgia ma riscoperta di una dignità oggi progressiva, mentre per Ralph Lauren leggerezza e sartoria sono sinonimi in una collezione di classici intramontabili, wasp quel tanto che basta. Da Pal Zileri, in fine, il lurex si insinua, freddo e metallico, portando una traccia di secco futurismo. La prova è marziale: volumi ampi e appiombi decisi sono ammorbiditi dalla palette pittorica. Classico, certo, ma reloaded.
© Riproduzione riservata