Moda24

Da Valentino a Gaultier la couture sfida il tempo

  • Abbonati
  • Accedi
parigi couture, giorno 3

Da Valentino a Gaultier la couture sfida il tempo

La haute couture si alimenta di un conflitto: tra le vestigia del tempo che fu e la brutalità - estetica, ma anche etica - del tempo corrente. Conciliare è difficile, come hanno dimostrato molte collezioni parigine in questi giorni, povere di sogni e di artigianalità autentica. Chi nella cultura manuale crede ancora, senza ortodossie retrograde anzi trovando magia anche nell'usura, vince.

Guidano la schiera dei couturier che si muovono al soffio del tempo Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli, che anno dopo anno continuano a elevare la couture di Valentino a livelli di lirismo esacerbato. La loro donna, in spregio delle brutture dell'oggi, è sempre più fragile e inarrivabile: la vestale del culto di bellezza e armonia. È cosí immemore dell'attualità che questa stagione danza addirittura a piedi nudi, un aspide a cingerle la fronte, il corpo liberato dentro tuniche liquide come delphos, coperto da chimono, velato. Il lavoro di Mariano Fortuny è il punto di partenza di un detour, sublime seppur alquanto letterale, tra orientalismi preziosi ed evanescenze liquide, tra classicismi senza tempo e bizantinismi vibranti, nel quale il racconto vero non è l'immagine, fedele alle fonti, quanto la superficie dei vestiti, trattata e poeticamente attaccata per inglobare la patina dei decenni. «La couture è un'arte lontana dal tempo ma che racconta il tempo - spiegano Chiuri e Piccioli -. Abbiamo voluto esplorare una dimensione di memoria non nostalgica. Partendo da Fortuny siamo arrivati a danzatrici come Isadora Duncan, cercando insieme il senso del movimento e quello dell'imperfezione, ovvero della manualità autentica».

L'imperfezione glorificata, l'usura celebrata, la distruzione come forma di lusso personale sono da sempre parte del vocabolario della Maison Margiela. John Galliano continua a muoversi con la verve del teatrante intorno a questo nucleo, evolvendo la storia in direzioni più vicine esteticamente alla propria visione fiammeggiante ma sostanzialmente fedeli ai principi della casa. La collezione è un tripudio di opulenza in crescendo, che parte dal bianco laboratoriale per arrivare a una esplosione di texture e volumi massimizzati. Si avverte un che di ingenuo e di poeticamente amatoriale, ma anche di infinitamente malinconico, quasi che l'istrionismo sartoriale e l'evidente virtuosismo fossero un modo per opporre il genio all'ineluttabilità del tempo che passa.

Anche Jean-Paul Gaultier non si arrende: la fantasia è bloccata negli anni Ottanta dell'apogeo, rispolverati adesso in una fantasia discotecara a base di pigiami, vestaglie, cappellini a scatola ed eccentricità come le si vedeva a Le Palace. Il bianco di Viktor & Rolf, infine, è il foglio intonso per un esercicizio di stile a mezzo, ancora una volta, tra atelier e accademia di belle arti: pannelli come collage in 3d che disegnano varie surrealtà intorno alla figura. Visivamente accattivante, non immediatamente utile.

© Riproduzione riservata