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Dolce&Gabbana, ricavi a 1,19 miliardi in crescita del 13%

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a milano la collezione couture

Dolce&Gabbana, ricavi a 1,19 miliardi in crescita del 13%

Dolce&Gabbana
Dolce&Gabbana

Un completo gessato impeccabile, impercettibilmente segnato da una “riga” in oro o in platino; una giacca classica la cui fodera è “spruzzata” di polvere di zaffiro, che offre una lucentezza inedita; una polo da tennis in candido ermellino profilata in seta, con i bottoncini in madreperla e oro 18 carati. E, ancora, gli stivali da equitazione in coccodrillo, realizzati con il know how di uno specialista di questa disciplina d’élite; i “motivi” legati al mondo del golf e gli stemmi di famiglia sparsi su pigiami e vestaglie di morbida seta; i pantaloni ricamati in micropaillettes, ispirati agli affreschi neoclassici, che da soli richiedono cinque settimane di lavoro. Il tutto sotto il motto “Mens sana in corpore sano” e con una strizzatina d’occhio all’eleganza anni Trenta.

Dolce&Gabbana manda di nuovo in passerella l’alta sartoria maschile, nel prezioso scrigno di Palazzo Labus, l’edificio del XVI secolo, in corso Venezia a Milano, restaurato dai due stilisti, dove all’ultimo piano sarti e sarte in camice bianco lavorano con cura certosina a guardaroba su misura rivolti a uomini che non hanno timore di vestire in quello stile eccentrico da sempre celebrato nella storia del costume.

«È una collezione - raccontano nel backstage Domenico Dolce e Stefano Gabbana, tra parquet, fregi, decori e maxi-lampadari di Murano - dedicata appunto a persone eccentriche, che hanno uno stile di vita differente dalla maggioranza, che cambiano abito più volte al giorno. E che, ovviamente, sono disposte a spendere per avere il massimo su tessuti, forme, appiombo, cuciture, vestibilità. Tutti aspetti in cui ci basta un’occhiata per capirci con il nostro staff, sia nell’alta sartoria che nell’alta moda, anche se fare l’abito perfetto sembra normale, ma è molto difficile: noi siamo impegnati a farlo con amore».

La collezione uomo - ben 86 uscite, indossate da 85 modelli di varie età - è stata presentata sabato scorso a 140 clienti provenienti da tutto il mondo ed è stata seguita, il giorno successivo, dalla sfilata di alta moda, ospitata dal Teatro alla Scala, per la prima volta nella sua storia, e dedicata a 200 emozionatissimi invitati.

«Si tratta di capi eterni, non certo usa-e-getta - aggiungono gli stilisti - che incontrano i gusti di clienti trasversali, che arrivano dalla California e dal Medio Oriente, dall’Asia e dalla Russia». Tutti presenti in prima fila, ad ambedue gli eventi, agghindati in perfetti look Dolce&Gabbana, e pronti a staccare subito ricchi assegni per aggiudicarsi vestiti e accessori per i quali occorrono settimane di lavorazione e numerose prove.

«Nonostante il contesto globale sia difficilissimo - puntualizzano Domenico e Stefano - stiamo vivendo con ottimismo: quando abbiamo iniziato la nostra attività c’erano l’invasione del Kuwait e la guerra del Golfo, e sembrava che il mondo ci crollasse addosso. Di fronte alle guerre, alle nuove prospettive socio-politiche ed economico-finanziarie, l’unica strada è lavorare con sacrificio e rispetto del consumatore, anche se il consumatore, anziché comprare una borsa, preferisce il ristorante o un viaggio. Vogliamo fare bene il nostro lavoro e il denaro non è la leva principale per noi: basti pensare ai quasi 390 milioni di ricavi che abbiamo perso con la chiusura della collezione giovane D&G. Tutti sono ossessionati dai soldi e dal successo personale ma, secondo noi, bisogna tornare a parlare di bei vestiti e capire che cosa davvero vogliono i clienti».

Le turbolenze globali, peraltro, non hanno intaccato l’andamento dei conti aziendali: secondo il preconsuntivo al 31 marzo 2016, i ricavi cresceranno del 13% a 1,19 miliardi, mentre è ancora presto per stimare l’ebitda (al 12% dei ricavi nell’esercizio precedente) e l’ebit (che era al 6%), sui quali influirà l’impatto dei cambi. La posizione finanziaria netta, invece, è stimata a 160 milioni, sempre al 31 marzo prossimo, rispetto ai precedenti 233 milioni, essenzialmente a causa dello sviluppo nel retail, con 26 nuove aperture di monomarca (20 boutique e 6 shop-in-shop) che hanno comportato un investimento di 41,5 milioni.

«La nostra più grande fortuna - dicono ancora Dolce e Gabbana - è di essere indipendenti, liberi di decidere quel che vogliamo fare, incluse alta sartoria e alta moda. Diciamo la verità: agli esordi pochi ci “filavano”, ma già nel 2000, l’anno che ha scombussolato gli equilibri della moda, siamo stati corteggiati dai più importanti protagonisti del settore. Abbiamo detto no a tutti e ora non abbiamo nessuno che fa pressione su di noi per ottenere risultati, e in fretta. La moda è moda, non è il marketing, che arriva dopo. Ma, a furia di fare marketing, i grandi gruppi hanno “bruciato” gli stilisti».

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