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Stili + Tendenze

Lo stile rischia il cortocircuito: l'immediatezza come boomerang su prodotto e qualità

Niente precollezioni e sfilate solo due volte l'anno: così si abbrevia il ciclo della consegna ai negozi e si evita di soffocare la moda
Una nube congiunta di entusiasmo per il nuovo che avanza e di millenarismo apocalittico per la fine del sistema - almeno per come lo abbiamo fino ad ora conosciuto - si addensa sul mese della moda che è appena iniziato. «Una stagione come nessun'altra» titola qualcuno a caratteri cubitali. E non c'è giorno che il fenomeno non si ripeta, al punto forse da aver già saturato l'orizzonte delle news scottanti. L'azione fashion si sposta oggi da New York a Londra, per proseguire quindi a Milano e concludersi a Parigi. Tra dichiarazioni programmatiche, rivoluzioni annunciate e un debordare inaudito di spettacolarità fine a se stessa, è davvero come se si stesse assistendo agli ultimi giorni della civiltà fashionista. Ovvero, allo sgretolarsi di un mondo troppo a lungo chiuso in se stesso sotto i colpi della rabbiosa progenie digitale - distratta, insaziabile e smemorata - le cui esigenze imperiose esigono una risposta inequivocabile. Subito.

Albeggia un futuro radioso nel quale i desideri modaioli, futili invece che utili, potranno essere soddisfatti immediatamente, senza lungaggini, frustrazioni e attese, e si potrà essere alla moda secondo l'ultimo diktat poche ore dopo aver sommerso di like la sfilata del cuore. Perché, per arrivare al punto, il futuro prossimo del sistema non si gioca più sulla fluidità di genere, eccitante ma ancora tabù, e neanche sulla mancanza di stagionalità, invero necessaria, ma sulla immediatezza: lo vedo, lo compro. Siano maledetti Instagram e il web che diffondono ogni cosa in un nanosecondo, saturando gli occhi, ottundendo le menti e assuefacendo le estetiche al livello becero del purovisibilismo. È l'urgenza dell'immediatezza, divenuta a questo punto ineludibile perché connaturata al modo stesso di vivere e di pensare della clientela di riferimento - millennials e nativi digitali, gli altri s'adatteranno per non far la fine dei matusalemme - che sta rendendo le sfilate (forse) obsolete e che sta riducendo il processo creativo, in ultima analisi, a una mera transazione commerciale, non delle più sofisticate. La moda non è mai stata un'industria di beneficienza, sia chiaro. Si inventa per vendere, da sempre, e questo è un principio che non va dimenticato. Se però mentre si commercia si allargano i confini del bello, si modernizzano saperi manuali e artigianali, si stimolano pensiero e innovazione - vera, non quella buona per gli slogan di twitter e l'ennesimo hashtag che lascia il tempo che trova - allora lo scambio di merci può anche diventare eccitante. Non adesso, però. Prendi i soldi e scappa: ecco il pensiero diffuso.

Procedendo con ordine, il terremoto in corso è arrivato in forma di proclami e manifesti programmatici, diffusi a mezzo web giusto pochi giorni prima del fashion month. Le scelte di Vetements, come di Cedric Charlier, di eliminare le precollezioni e presentare in calendario due volte all'anno, negli slot tradizionalmente riservati alla moda maschile, sono soluzioni intelligenti: perché abbreviano il ciclo della consegna ai negozi riducendo drasticamente la produzione di merci. Questo sarebbe l'avvio di una rivoluzione vera: la moda sta morendo perché ingolfata e soffocata dal moltiplicarsi di uscite. Paul Smith la pensa allo stesso modo. Di tutt'altra natura è l'approccio “dalla passerella al negozio” annunciato da giganti quali Burberry, Tommy Hilfiger e Tom Ford, i quali dalla prossima stagione presenteranno in sfilata ciò che sarà disponibile in boutique già il giorno successivo (si veda anche l'articolo in copertina).

Il modello, cui in vario modo si stanno adattando anche altri, annunciando “early editions” di capi selezionati subito disponibili per l'acquisto - Proenza Schouler, ad esempio - pone però non pochi interrogativi. Sull'utilità dello show come sessione di lavoro per professionisti, ad esempio. La deriva iperspettacolare preconizzata dal baccanale di Kanye West, ad esempio, è disastrosa. L'immediatezza rende inoltre inutile l'apporto interpretativo della stampa periodica di settore, che dovrà in qualche modo adattarsi ai nuovi ritmi sincopati. Ma è sul prodotto che alla fine si gioca la partita vera. Come unire qualità e immediatezza? Come far sopravvivere le piccole boutique multimarca in un sistema che privilegia retail diretto e department store? Se la designer fashion adotta le logiche del fast fashion, c'é il rischio di un cortocircuito letale. Appiattire la moda sul consumo di prodotti potrebbe alla fine rivelarsi un boomerang. Vestirsi è necessità. Moda e stile sono altro. O no?

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