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analisi

Piccolo è ancora bello? Le pmi della moda si scontrano con la sfida dell’internazionalizzazione

Più che del can-can mediatico sulla rivoluzione copernicana delle sfilate - alcuni grandi marchi presentano o presenteranno prodotti pronti per essere acquistati dal giorno stesso, in negozio oppure online - all'industria della moda converrebbe invece preoccuparsi della dimensione delle aziende.

Tranne pochi (davvero pochi in percentuale) brand in passerella a New York e a Londra, a Milano (da oggi) e infine a Parigi, è infatti il “formato” il nodo da sciogliere per competere sui mercati globali. Mercati in cui chi ha un fatturato di pochi milioni (o anche di alcune decine di milioni) di euro, pur essendo in grado di sfoggiare creatività e innovazione, deve riuscire a farsi notare di fronte a colossi che investono centinaia di milioni all'anno in negozi diretti e in comunicazione, con ricadute di notorietà verso i consumatori.

Per molte di queste piccole e medie imprese, la stragrande maggioranza anche sulle passerelle di Milano moda donna, c'era un tempo la valvola di sfogo del mercato interno (al massimo, di quelli limitrofi europei), ora alimentato quasi soltanto dallo shopping di turisti e businessmen esteri. Sbarcare sui mercati internazionali, insomma, è d'obbligo. Così come lo è assicurare congrue vendite al metro quadrato nei department store dei Paesi in cui il dettaglio è concentrato nella sempre più esigente distribuzione organizzata.

La dimensione tipica per le Pmi, nella moda come in ogni altro settore industriale, porta però con sé ovvi problemi legati alla struttura operativo-manageriale e alla capitalizzazione nonché, in alcuni casi, pure al ricambio generazionale, mentre i brand più giovani - anche se non giovanissimi, ma comunque con pochi anni di storia alle spalle - vivono sulla loro pelle gli ostacoli dell'erogazione del credito e dei rapporti, spesso complessi, conlicenziatari della produzione e distributori.

Affrontare il contesto economico-finanziario e socio-politico attuale è un incubo anche per i gruppi quotati in Borsa, forti di staff preparatissimi e al lavoro 24 ore su 24. Per chi è piccolo la strada è davvero in salita e uno sforzo di “sistema” va messo in atto in fretta al fine di preservare un know how di filiera talmente prestigioso da essere scelto dai competitor francesi (e non solo francesi) per la manifattura dei propri iconici prodotti. La moda è un cavallo di battaglia del made in Italy da tutelare come strategico. Finché siamo in tempo.

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