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Il collage opulento di Prada

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Il collage opulento di Prada

C'è qualcosa di irresistibilmente perverso in Miuccia Prada, eterna sediziosa sotto spoglie di sciura altoborghese. A sentirla parlare della vagabonda come figura centrale di una riflessione sulla personalità femminile attraverso i tempi e gli stili, mentre siede sulla scrivania dello studiolo nel quale riceve i giornalisti, vestita da marinaretta come l'alunna di un rigoroso collegio svizzero, il viso senza un filo di trucco, il primo aggettivo che viene in mente per definirla è: punk. Intendendo con il termine non i collari da cane e il gusto irridente del brutto deliberato che si associa a questa sottocultura. Il suo è un punk alto e cerebrale, vitriolico e controcorrente, pratica di pensiero rivoluzionario invece che estetica: quello che da Malcolm McLaren attraverso Guy Debord arriva dritto fino alla più anarchica delle avanguardie storiche, il movimento Dada.

Non a caso il metodo operativo è da sempre il collage, quanto di più dadaista: l'associazione automatica e compiaciutamente stridente di elementi disparati pescati da ogni parte e assemblati con un gusto perverso per l'antigrazioso. Rutilante e sfrenata nell'iper-accumulo opulento di ogni cosa - ciascun look è accessoriato d'ogni sorta di ninnolo, dai chiavistelli-ciondolo ai libercoli legati al collo come collane, per non parlare dell'onnipresente berretta marinara e della profusione disinibita di ori barocchi - la collezione presentata ieri è una apoteosi di pensiero pradesco. Lo è fino allo sfinimento e alla saturazione: velluti e broccati, militarismi e echi anni cinquanta, pauperismi post-bellici e escapismi millenaristi; corsetti e camicie da decollato condotto al patibolo.

La signora parla esplicitamente di “donne a pezzi”, descrivendo il percorso narrativo, o sarebbe meglio dire antinarrativo, come un collage - ecco di nuovo il termine dada-punk - attraverso brandelli di storie e di donne. E in effetti proprio di una deriva si tratta, che dal rigore delle uniformi marinare arriva, aggrovigliandosi fino agli abiti da ballo da mogliettina del cumenda. Lo spettacolo è una gioia per gli occhi, con look cesellati in ogni dettaglio, e uno stimolo per la mente. È anzi fin troppo perfetto nel suo caos apparente: cosí lustro e compiaciuto da non aver quasi vita. Del resto, come ogni autore che si rispetti, Miuccia Prada è entrata nella fase manierista della propria evoluzione espressiva. Un po' di anarchia vera, di vagabondaggio non solo pensato forse le gioverebbe. Guardando magari alla madrina del punk, Vivienne Westwood, il cui fantasma carnevalesco aleggiava in effetti su molte mise.

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