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Il culto del “fatto a mano” di Bottega Veneta. Versace…

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Il culto del “fatto a mano” di Bottega Veneta. Versace sfrontata, iperminimalismo Jil Sander

Eccesso: è la parola modaiola del momento. A Milano in questi giorni le passerelle sono tutte un fiammeggiare di stramberie rutilanti. Il rischio della saturazione visiva è alto. Infatti mai come oggi, nel sobbollire inesauribile del “non tutto ma di tutto”, il nulla suona come la scelta più efficace.

Necessaria, addirittura. Ce lo ricorda con precisione inesorabile Rodolfo Paglialunga, che da Jil Sander continua ad affinare e personalizzare tono e linguaggio, confermando il proprio status di autore sui generis, capace di trasformare la gentilezza in forza. La collezione, massimalista nell'idea della riduzione allo zero assoluto, espressionista nella scelta di giocare con proporzioni distorte - maniche lunghissime, spalle fuori misura - superfici metalliche e nulla di più, è la prova migliore tra quelle prodotte finora da Paglialunga, e uno dei picchi alti di questa eccitante fashion week della definitiva rigenerazione milanese. Il messaggio è inequivocabile: niente, finalmente. Un niente intenso, drammatico, estremo ed espressivo, tra Dottor Caligari e Otto Dix, elegante come solo può essere ciò che è nudo, studiato in ogni dettaglio e realizzato con le migliori materie. Nessuna mollezza, una valanga di nero, il tocco selvaggio del mohair lucido e il gioco è fatto.

Anche Tomas Maier, da Bottega Veneta, sottrae. Nel suo lavoro il culto del fatto a mano e della artigianalità evoluta è evidente, ma mai scontato. L'idea di lusso che Maier promuove è a ogni collezione più lontana dall'ossessione dell'appariscenza millenial. Questa stagione lo stilista disegna un percorso dal rigore del tailoring maschile al compiacimento fremente della femminilità bon ton. Si parte con il tailleur pantaloni nero, si finisce con l'abitino ladylike superlavorato. In mezzo, un abbondare di maglia e di applicazioni certosine che impreziosiscono le superfici. «Ho cominciato a disegnare la collezione dopo quella da uomo, lavorando su una idea di lusso privato - racconta Maier - Questo ha portato al confort della maglia e il resto è venuto di conseguenza». Nella ricerca di calma e voluttà, Maier mantiene un tocco sensuale e fa centro.

È sensuale e sofisticata la donna di Blumarine, che dopo alcune stagioni di sfrontatezza bombardona sembra aver trovato un evidente equilibrio tra carnalità ed eccentricità, tra ironia e massimalismo. La collezione è notturna: descrive un ritorno a casa, ovvero una riscoperta dei valori fondanti della maison, opulenza piena di humor in primis. I codici Blumarine, dalla pelliccia agli abiti da ballo, ci sono tutti, ma l'interpretazione è veloce e non nostalgica, sicchè la donna in passerella ricorda l'indimenticabile musa Manuela Pavesi, senza essere un clone.

Sensualità e culto dell'artigianato sono da sempre le qualità che Ermanno Scervino difende a spada tratta. Questa stagione mescola vaghi militarismi e efflorescenze iperfemminili, pizzi e spalle insellate, ricami sul tweed e drappeggi da sirena. La collezione è il sunto di un pensiero infallibile, che sarebbe interessante, almeno in passerella, vedere in una interpretazione meno scontatamente perbenista. I pezzi, singolarmente, sono splendidi.

L'esordio di Mitsuru Nishizaki, in arte Ujoh, presso Armani/Teatro, è la rivelazione di un talento capace di produrre poesia metropolitana dall'idea dell'ibrido, mentre Antonio Marras si conferma affabulatore di rango producendo un inno romantico al potere dirompente della follia. Da Philosophy, Lorenzo Serafini taglia la delicatezza fiorita di sempre con sciabordate di punk, rivelando nuove nuance di un talento sicuro.
Altrimenti, è realismo su tutta la linea. È una lettura del mondo di oggi sfrontata e carnale quella di Donatella Versace, che si conferma in stato di grazia creativo e immagina un esercito di dee vestite di colorini aciduli, abitini risicati e tailoring seconda pelle.

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