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Davines, il nuovo headquarter in un villaggio green. E un obiettivo: 100 milioni di ricavi

Un rendering del Davines Village con, al centro, una serra, emblema eco del gruppo
Un rendering del Davines Village con, al centro, una serra, emblema eco del gruppo

«Abbiamo capito che la sostenibilità sarebbe stata il futuro durante l’Expo di Hannover, nel 2000. Sedici anni dopo, quando il mondo ancora si chiede se il green sia solo una tendenza, abbiamo avviato il percorso per diventare una b-corp e vogliamo sfondare il muro dei 100 milioni di ricavi».

Davide Bollati è il presidente di Davines, azienda parmense cui fanno capo i marchi Davines e Comfort Zone: il primo contrassegna prodotti per i capelli e il secondo cosmetici per la cura del corpo e del viso; entrambi sono realizzati con ingredienti bio e con un approccio sostenibile.

La storia di Davines è fortemente italiana: è un’azienda familiare, fondata nel 1983 dai genitori di Bollati. Ma è anche un gruppo internazionale, con 94 milioni di euro di ricavi 2015 (+16,8% sul 2014), 450 dipendenti i cui prodotti distribuiti in 95 Paesi.

In questo contesto, il gruppo ha investito 24 milioni di euro per crescere negli spazi : nei prossimi 18 mesi prenderà forma il Davines Village, sempre a Parma, che ospiterà i suoi laboratori di ricerca e sviluppo, settore nel quale l’azienda investe il 3% del fatturato ogni anno, l'impianto di produzione, interna al 100% e gli uffici.

Il progetto, firmato da Matteo Thun e Luca Colombo, riflette la filosofia dell’azienda: «Al centro di questo villaggio ci sarà una serra, a simboleggiare la responsabilità sociale e ambientale che guida le nostre scelte. E poi ci sarà un giardino della biodiversità dal quale attingeremo ingredienti per il ristorante interno, ma anche per i laboratori».

La ricetta di Davines e Comfort Zone - «un mix di qualità, green, innovazione e soprattutto coerenza» - piace molto oltre confine: «Nel 2015 l’export ha toccato i 74 milioni, + 19% rispetto al 2014. Il nostro primo mercato estero sono gli Stati Uniti - spiega Bollati - e lo scorso anno abbiamo registrato performance positive anche nel Regno Unito, dove abbiamo chiuso con vendite a +40%, in Canada e in Nord Europa». I conti dell’azienda si sono chiusi in positivo anche per quanto riguarda il mercato domestico: «In Italia fatturiamo circa 20 milioni l’anno - dice Bollati - e abbiamo chiuso il 2015 a +10%».

In un mercato nel quale la ripresa è ancora flebile e le vendite di cosmetici attraverso i canali professionali in flessione, le performance di Davines e Comfort Zone sono in controtendenza, pur essendo legate proprio ai canali professionali: «La tendenza corrente è la sovrapposizione dei canali, ma noi rimaniamo vecchio stampo: con i nostri prodotti, che considero professionali di fascia premium, vogliamo ispirare i nostri clienti, oltre 1.000 “piccoli artigiani” in tutta Italia. Loro ci ripagano con la fedeltà, scegliendo spesso i nostri brand in esclusiva».

Non ci sono, dunque, all’orizzonte, cambiamenti di rotta sul fronte distributivo: «Negli Stati Uniti abbiamo una piattaforma e-commerce che assorbe l’1% delle vendite: a essere incisivi sono, come sempre, i professionisti che ci scelgono per i loro saloni». Tra i saloni brandizzati Davines c’è quello all’interno di Eataly Roma: «Oscar Farinetti è riuscito a valorizzare il made in Italy nel mondo. Vogliamo fare lo stesso, a modo nostro».

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