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Tempi difficili per Brioni, che paga gli errori strategici di Kering

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analisi

Tempi difficili per Brioni, che paga gli errori strategici di Kering

Uno scrigno di talenti. Una fabbrica-atelier in cui decine e decine di sarti esperti segnano con il gesso tessuti super-fini, li tagliano con precisione certosina uno a uno, abbinando i corretti grafismi di righe o quadri, assemblano, imbastiscono, cuciono, “disegnano” occhielli perfetti e rever che tutto il mondo riconosce come made in Italy.

Questo era - e per fortuna è - lo stabilimento di Penne della Brioni, uno dei marchi leader della sartoria maschile italiana, il principale nel mix manifatturiero del marchio che ha vestito tanti James Bond e che è stato rilevato nel 2012 da Kering (allora Ppr), il colosso francese del lusso guidato da François-Henri Pinault. Il problema è che ora, dopo un lungo periodo di ammortizzatori sociali, 400 addetti su 1.200 sono in esubero, il che sta mettendo in ginocchio il territorio pescarese. I dati diffusi dai sindacati dicono che la produzione 2016 è stimata in 30mila capi, rispetto ai 42mila del 2014 e ai 70mila degli anni d'oro di inizio Duemila. Il fatturato si sarebbe dimezzato dai 170 milioni ufficializzati per l'esercizio 2010 all'annuncio dell'acquisizione da parte di Kering.

Purtroppo la strategia del colosso transalpino non è stata azzeccata: per andare a caccia dei Millennials, i giovani consumatori che fanno gola a tutti i big brand del lusso, si è assistito a una virata stilistica verso il fashion, “inseguendo” marchi come Gucci, Prada e Tom Ford. Senza convincere, di fatto, i nuovi clienti e alienandosi quelli “core”, signori magari non giovanissimi, ma pronti a sborsare migliaia di euro per indossare un abito impeccabile.

Ora, mentre Kiton, leader assoluto nel segmento della qualità made in Italy, sforna giovani sarti nella sua scuola interna di Napoli e Brooks Brothers annuncia di puntare su quelli esperti per le produzioni in Nord America, i talenti di Brioni rischiano di restare senza lavoro. Ma si tratta di un patrimonio che va difeso a oltranza, prendendo atto che Kering non è riuscita a valorizzare un know how raro. Ed è la seconda volta che accade, dopo le scarpe di Sergio Rossi appena cedute a InvestIndustrial.

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