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Eterno presente, leggerezza e movimento: a Tokyo l’arte…

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Eterno presente, leggerezza e movimento: a Tokyo l’arte dell’outsider Issey Miyake

Essere senza tempo: una qualità cui aspirano, segretamente o dichiaratamente, tutti i designer, ma che nella moda, legata più di altre discipline al tempo che la ha prodotta, risulta quanto mai difficile da afferrare. In un vestito o accessorio c'è sempre qualcosa che appartiene a una precisa temperie, perché la moda, in fondo, è storia da indossare.
Poi ci sono gli outsider visionari, e allora tutto cambia. Issey Miyake è uno dei titani che vanno solitari controcorrente, afferrando lo zeitgeist per dimenticarsene all'istante. Il designer giapponese in oltre quarant'anni di carriera ha creato un linguaggio unico, fatto di forme, materie e tecnologie intrecciate in una ricerca assoluta di soluzioni capaci di rendere più semplice la quotidianità dei clienti, che è insieme legato a momenti specifici della storia - sua personale come di quella del costume - e gloriosamente timeless. La capillare retrospettiva che ha inaugurato martedì scorso negli immensi spazi del National Arts Center di Tokyo (aperta fino al prossimo 13 giugno) è testimonianza tangibile dell'unicità del lavoro di questo creatore che ama definire la propria attività con la lapalissiana locuzione “fare cose” (Making things, titolo di un'altra mostra memorabile).

Disposte in tre stanze grossomodo cronologiche, le creazioni del grande Issey, descrivono un corpus di idee autenticamente simultaneo. Impossibile assegnare ad una decade precisa il cappotto di carta washi o l'abito fatto di pezze intere di tessuto unite in sbieco, i top e le gonne che si piegano come origami o il mantello che si muove in circolo intorno alla figura. Persino i body di vetroresina immortalati illo tempore su Grace Jones e i top di rattan che nel 1982 valsero a Miyake la copertina di Artforum e che riassumono la frenesia superomistica di un'epoca di spalle immense e fierezza guerriera, oggi, a vederli sui manichini di plexiglass trasparente, appaiono come semplici visioni di design radicale.

In mostra tutto par avvenire in un eterno presente: il pericolo della retrospettiva celebratoria è schivato perché quello che si offre allo spettatore è uno spaccato vivo e interattivo del metodo che Issey Miyake continua ad applicare al proprio processo creativo, e che di base è lo stesso degli inizi. L'opera di Miyake risponde a una sola domanda: come vestire il corpo, che è tridimensionale, usando la bidimensiobalità del tessuto mentre si tiene in considerazione il movimento? Miyake fornisce soluzioni al quesito lavorando sulla grana del tessuto come sulla purezza della forma mentre inventa abiti che mettono al centro la persona e le sue esigenze, non il creatore e il suo ego. Miyake, in definitiva, offre soluzioni in divenire al bisogno primario di vestirsi, e lo fa ricordando che il comfort, anatema per troppi stilisti, è invece centrale: «Ho sempre voluto legare le mie creazioni alla realtà - ha spiegato Miyake all'inaugurazione, coronata dal conferimento del titolo di Commandeur de la Legion d'Honneur da parte dell'amico ed ex ministro della cultura francese Jack Lang -. Il mio lavoro è coerente perché i bisogni umani sono in fondo sempre gli stessi. Con questa mostra vorrei divertire ed emozionare il pubblico di ogni età». Intento lodevole perché leggero. E, con leggerezza, perfettamente realizzato.

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