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La leva strategica all’estero sta nei prezzi

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l’analisi

La leva strategica all’estero sta nei prezzi

L’unica certezza per l’industria italiana della moda in questi primi mesi del 2016 è che non ci sono punti fermi. Sembra un paradosso, ma quel che sta accadendo nelle aziende del settore che grazie alle sfilate hanno maggiore visibilità mediatica - aziende nazionali e internazionali di ogni latitudine - provoca, di riflesso, una confusione generalizzata.

Gli stilisti dei brand più importanti vengono accompagnati alla porta o se ne vanno sulle proprie gambe con una frequenza mai registrata nel passato; i calendari delle sfilate, a Milano come a Parigi, a Londra come a New York, sono nel frullatore; eventi come il Salone del mobile, condito con il FuoriSalone, “agganciano” i consumatori che trascorrono il poco tempo libero dal focus-design spendendo tanto denaro nei negozi del centro, all’improvviso rivitalizzati.

Che cosa c’entra tutto questo con la congiuntura del tessile-moda? C'entra. Eccome se c’entra: perché tantissime piccole e medie imprese del settore incarnano quella filiera made in Italy che andrebbe difesa e valorizzata come un asset strategico del Paese. Pmi che rappresentano, in moltissimi casi, il cuore produttivo dei big brand o che, in tanti altri, sperano di replicarne le performance - a dire il vero, di questi tempi - non proprio brillanti - cercando di imporre il proprio marchio.

È un percorso irto di ostacoli in periodi recenti: mancano, appunto, riferimenti precisi da utilizzare come benchmark, ma i mercati sono talmente in altalena che concentrarsi su una sola area - come, purtroppo, molti hanno fatto nel caso della Russia - sarebbe un errore madornale.

Per chi fa impresa un pizzico (almeno) di ottimismo non può mai mancare. Soprattutto per chi produce vero made in Italy, una leva strategica in mercati che da emergenti sono ormai emersi e pure in quelli ancora inesplorati o quasi, come l’Africa o il sub-continente indiano. Senza dimenticare gli sbocchi storici, come l’Europa e soprattutto gli Stati Uniti, che non finiscono mai di stupire. Mercati in cui il prodotto italiano ha un valore assoluto, che deve però essere abbinato a un congruo posizionamento dei listini. I tempi della voracità sono finiti: il corretto rapporto qualità-prezzo ridurrà i margini, certo, ma sarà apprezzato da chi, attraverso il digital, sa tutto di tutti i prodotti. Anche questa si chiama innovazione.

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