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Export motore di crescita del sistema moda e della manifattura

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8° LUXURY SUMMIT

Export motore di crescita del sistema moda e della manifattura

Pareri e sguardi istituzionali, analisi e sondaggi e naturalmente esperienze dirette: durante la prima giornata dell'ottavo Luxury Summit del Sole 24 Ore che si è tenuto ieri a Milano, sono arrivati spunti di riflessione e strumenti per comprendere la complessità crescente del settore, ma anche un invito a non sperare in formule valide per tutti o, peggio, infallibili.

Nel 2015 e nei primi mesi del 2016 un comparto, quello del lusso, che sembrava resiliente e quasi anticiclico ha invece rallentato, costringendo tutti a rivedere strategie e, soprattutto, mentalità. Per i marchi italiani le prospettive di medio-lungo termine restano però buone, se non ottime: sia perché in fatto di artigianalità e creatività non esistono concorrenti al mondo, sia perché le opportunità nei mercati extra Ue – Cina in primis – continueranno a essere motore di crescita di fatturati e utili. Occorrono però due condizioni. La prima è che le associazioni di settore collaborino di più tra loro e con le istituzioni, la seconda è che ogni azienda o brand, anche quando fa parte di un gruppo, rivaluti e sia pronta a cambiare le strategie di breve termine (quelle di medio-lungo invece devono essere il più possibile chiare e coerenti con la storia e il dna).

«Il tessile-moda è una delle ricchezze manifatturiere dell’Italia e può continuare a essere volano di crescita per il Paese», ha spiegato Claudio Marenzi, presidente di Sistema moda Italia in collegamento da Roma, dove era in corso l’assemblea di Confindustria. «Tra le priorità deve esserci la salvaguardia della nostra filiera, unica al mondo, il che significa in particolare tutelare le Pmi – ha aggiunto Marenzi –. Occorre poi lavorare sul reshoring, favorendo, anche fiscalmente se possibile, il rientro di produzioni delocalizzate».

«Il mondo del lusso ha rallentato, è finita un’età dell’oro che forse speravamo durasse di più e i consumatori di oggi e del futuro sono profondamente diversi da quelli di appena qualche anno fa – ha aggiunto Andrea Illy, presidente di Fondazione Altagamma –. Le crisi, ammesso che di crisi si possa parlare, sono però sempre delle opportunità: le aziende devono interrogarsi e allo stesso tempo guardare con fiducia ai milioni di persone delle classe medie di Paesi come la Cina, che hanno fame di prodotti di qualità e soprattutto di made in Italy. Le associazioni e le istituzioni devono fare la loro parte: dobbiamo, insieme, lavorare a contatto sempre più stretto con i referenti politici e il dialogo con il ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda, iniziato quando era viceministro, è l’esempio di un lavoro di squadra mai visto in passato».

Carlo Capasa, presidente della Camera della moda, condivide le posizioni di Marenzi e Illy sulla necessità di condividere e “mettere a sistema” le competenze ed esigenze dell’intero settore e sottolinea i forti segnali di cambiamento che arrivano dalla punta dell’iceberg della filiera, le settimane della moda. «La prossima tornata di sfilate uomo di Milano (17-21 giugno) dimostra che gli stilisti e le aziende non hanno paura di mettere in discussione formule consolidate. Ci saranno meno marchi in passerella, è vero, ma aumenteranno le presentazioni – ha detto Capasa –. Non solo: la Camera della moda ha presentato un piano per la sostenibilità, prima che i nostri omologhi di Parigi, New York e Londra cominciassero persino a discuterne a livello associativo. Questo è uno dei temi più importanti per attrarre i Millennials, consumatori attenti all’impatto sociale dei proprio comportamenti e di quelli delle aziende».

Un invito all’ottimismo è venuto dallo studio True Luxury Consumers Behavior: From China to Chinese, curato da Nicola Pianon, senior partner di Boston Consulting Group: «Il rallentamento della crescita del Pil dal 7-8% al 5-6% non deve allarmare le aziende del lusso italiane. I cinesi continuano a desiderare il made in Italy e ne apprezzano qualità e artigianalità. Con un’avvertenza – sottolinea Pianon –: chiedono servizi online e offline sempre più articolati e sofisticati ed è su questo che i marchi devono investire». Lo studio Bcg indica inoltre che le mete preferite dei cinesi, non solo in Italia, restano le città: «Nel 2015 le hanno preferite rispetto a località di mare e resortl’84% dei turisti, una percentuale che in dieci anni potrebbe arrivare al 92%».

Sul tema dello shopping online è intervenuto a fondo l’analista Luca Solca, head of Luxury goods di Exane Bnp Paribas, sottolineando come gli investimenti nei negozi fisici dei grandi marchi nel 2015 siano calati, a favore dell’universo virtuale. «Occorre inoltre tenere conto che dieci anni fa i cinesi non potevano confrontare i prezzi nei diversi Paesi: ora possono farlo ancora prima di partire ed è per questo che le aziende stanno lavorando molto sui listini, puntando a ridurre al minimo le differenze tra Cina ed Europa o Stati Uniti o Giappone».

Di tecnologia ha parlato anche Gianluca Meardi, executive director di PwC, introducendo in particolare i progressi nella robotica. Sul palco con lui c’era un piccolo robot di ultima generazione (nella foto accanto): «Già oggi sales assistant come Marty possono interagire con il personale di vendita e con i clienti, creando curiosità e allo stesso tempo fornendo assistenza “tecnologica” concreta, che va oltre l’utilizzo dei social media o dell’acquisto online. Robot come questo possono ad esempio riconoscere i sorrisi e contare quanti ne fa il cliente, misurando concretamente la soddisfazione di chi entra in negozio».

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